Venditori ambulanti, cramari e alchimisti friulani

Piace iniziare con la seguente citazione di Joseph Roth, tratta da un suo articolo intitolato Alte und neue Handwerke (Vecchi e nuovi mestieri), successivo alla Grande Guerra. Detto articolo è contenuto ne «Der Neue Tag», Wien, 31 Juli 1919. In tal modo si può ben comprendere che il mestiere del venditore ambulante sia legato ad una mutazione interiore ed esteriore. Il vestiario della pubblica assistenza della città austriaca diventa oggetto di consumo nei piccoli paesi di campagna; ecco la prima mutazione. Il baratto, in tempi di grande inflazione, com’era nel 1919, assicura al mercante un introito di beni commestibili così ricercati nella piazza urbana, da essere oggetto di mercato nero e di un certo arricchimento; seconda mutazione.

«Assai diffusa è la professione del trafficante, facile da apprendere anche senza particolare talento: dichiara che non vai più in là del “reddito minimo”, “ritira” dei vestiti presso la pubblica assistenza, datti un’aria da innocuo accaparratore e fa’ tappa in campagna. Gli indumenti così ottenuti barattali qui con beni commestibili e vendi questi ultimi in città ai prezzi stabiliti dai caffé legalmente autorizzati dei borsaneristi. Procedi con pazienza e costanza nel modo sopradescritto e voilà: sei un trafficante».

Joseph Roth, Alte und neue Handwerke, 1919.

Foto della Biblioteca del Club Alpino Tedesco (Deutschen Alpenvereins) di Monaco; tratta da Leo Andergassen, Gianni Bodini, Werner Kreuer et alii, Pässe, Übergänge, Hospize. Südtirol am Schnittpunkt der Alpentransversalen in Geschichte und Gegenwart, Lana (BZ), Tappeiner, 1999.

Bisogna essere un po’ alchimisti nei traffici commerciali, senza pretendere di trasformare un metallo grezzo in oro. A parte che alcuni mercanti medievali si occupavano degli aromi, erano quindi “aromatari” e profumieri. Essi si intendevano di alcuni aspetti della moderna chimica, che fino al Rinascimento era conosciuta come alchimia. C’è, tuttavia, chi sostiene che: «La vera alchimia e i veri alchimisti sono sempre esistiti, esistono anche oggi ed esisteranno sempre». (V. Zecchini, Alchimia. La chiave dell’immortalità, Firenze, Giunti, 2009, pag. 8).

Scopo di questo contributo è di dimostrare che i venditori ambulanti friulani, soprattutto gli speziali e gli aromatari, erano alchimisti in senso stretto, poiché si dedicavano alla produzione di medicamenti e di oggetti per la cura del corpo, come pomate, cerotti, creme, ciprie, polveri. Altri lo erano in senso generale, poiché erano dotati di una notevole flessibilità nel lavoro, quindi sapevano adeguare la loro attività alle mutate esigenze del mercato. Si lasciavano prendere da una «trasmutazione interiore ed esteriore», come dispone l’alchimia appunto (Ibidem, p. 122).

Come si dice, l’alchimista opera con il fuoco, per trasformare i metalli grezzi in oro. Presso numerose società arcaiche è presente il simbolismo sessuale del fuoco. Il rito legato alla fiamma riproduce la nascita del mondo, secondo Mircea Eliade. (M. Eliade, Arti del metallo e alchimia, Torino, Boringhieri,1982; ediz. origin.: Paris, 1956; p. 34). Ecco perché vengono accesi i fuochi epifanici, dopo l’inizio dell’anno: il pignarûl e lis cidulis nella montagna friulana. «Il fuoco non perde per questo il suo carattere ambiguo – aggiunge Eliade – : la sua origine è divina e demoniaca, perché secondo alcune credenze arcaiche, esso si genera magicamente nell’organo genitale delle streghe». È altresì vero che l’alchimia fu contrastata da diversi autori sin dai secoli passati, come un insieme di opinioni. «Le quali opinioni – scrisse, nel 1568, il prelato Pietro Andrea Matthioli – essendo finalmente false, ingannano tutti coloro, che sopra cotali fondamenti fan diverse e false chimere» (A. Matthioli, I discorsi di M. Pietro Andrea Matthioli sanese, medico cesareo, et del serenissimo principe Ferdinando archiduca d’Austria &c. nelli sei libri di Pedacio Dioscoride Anazarbeo della materia Medicinale, Venethia, appresso Vincenzo Valgrisi, 1568, 1371).

Nel Medio Evo fu per merito dei prodotti chimici, o alchemici, che il mercato di Rialto si fece vieppiù fiorente. «Le spezie, le droghe, le sostanze medicamentose, le resine e le gomme – ha scritto Élisabeth Crouzet-Pavan, docente all’Università di Parigi – alimentano le farmacie e le profumerie». (É. Crouzet-Pavan, Venezia trionfante. Gli orizzonti di un mito, Torino, Einaudi, ediz. orig.: Paris, 1999; 2001, p. 201).

Fu con la propensione al cambiamento e all’innovazione in vari rami merceologici che Venezia riuscì a diversificare le sue funzioni, implementando il suo tessuto economico. Non erano da meno il commercio della seta e delle pietre preziose. Si pensi che è di seta persino la scala in corda usata dall’innamorato per raggiungere la sua amata in una delle novelle di Lorenzo il Magnifico, ambientata a Pisa in una notte d’amore (Lorenzo Il Magnifico, Novella della Ginevra, 1471-1473. Ho seguito il testo critico di T. Zanato, “Gli autografi di Lorenzo il Magnifico. Analisi linguistica e testo critico”, «Studi di Filologia Italiana», XLIV, 1986, pp. 199 e 207). Il protagonista è un certo Maffio, mercante di Genova, mentre una tal Ginevra è la sua amata. Su detta scala «lui, poi che in uno pulito giubberello di broccato d’ariento rimase, cominciò diligentemente a salire». Naturalmente veste in modo così ricco, perché era stato per lungo tempo a Pisa «per certe sue mercantie».

  1. I cramârs, mercanti di spezie della Carnia

I merciaioli ambulanti in Friuli fino all’Età Moderna vengono chiamati “cramari” – in friulano “cramârs” o anche “cràmars”, in base ai vocabolari – dal tedesco medio alto “krâme”, che significa “cassetta in legno”, utilizzata per portare le merci a spalla, detta in friulano pure “crame” o “crassigne” (G.A. Pirona – E. Carletti – G.B. Corgnali, Il nuovo Pirona. Vocabolario friulano, Udine, Bosetti, 1935).

Vendevano tele, fili, spezie, pelli e medicamenti. In chiave economica furono molto importanti per tutto il territorio locale, poiché univano il mercato di Venezia con quello tedesco e portarono non poche ricchezze in patria. Studiosi di livello internazionale, come Paul Freedman, docente all’Università di Yale, hanno scritto che furono i veneziani, i genovesi, i catalani e i provenzali a distribuire al dettaglio agli europei le spezie trattate ad Alessandria (P. Freedman, Il gusto delle spezie nel Medievo, Bologna, Il Mulino; ediz. orig.; New Haven, 2008; 2009, p. 135).

È vero altresì che il mercato veneziano vide una grande presenza dei mercanti friulani, i cramari della Carnia. Alcuni autori sostengono che il rilancio degli scambi mercantili interessò il Friuli sin dall’infeudazione del Patriarcato di Aquileia, avvenuta il 3 aprile 1077, a favore del patriarca Sigeardo, da parte dell’imperatore Enrico IV. Analizzando l’intitolazione delle chiese locali, è stato scritto che c’è un’influenza d’Oltralpe. Ad esempio a Sutrio, in Carnia (area montana occidentale del Friuli), così avvenne per l’intitolazione della chiesa di Sant’Ulderico «attraverso i cramari, che sin dai tempi più antichi si spingevano in Germania, Austria e Boemia» (G. Biasutti, “Spunti di agioidiologia per il Canale di S. Pietro in Carnia”, in: Darte e la Cjargne, Udine, Società Filologica Friulana, 1981).

C’è chi fa addirittura il nome della compagnia di mercanti ambulanti che importò il rituale a Sutrio, come riporta Domenico Molfetta: «È certo, per esempio, che furono gli Straulino, cramârs operanti in quel tempo ad Augsburg, a portare a Sutrio, subito dopo il 1000, il culto di Sant’Ulderico, vescovo di Augsburg, canonizzato nel 993». Vedi: D. Molfetta – F. Bianco, Cramârs. L’emigrazione dalla montagna carnica in Età Moderna, Udine, Camera di commercio, 1992, 162. Vedi pure: E. Varutti, “Stoffe da reliquia e rilancio economico. Tessitori tra Bologna, Ferrara, Venezia e il Friuli”, «Bollettino delle Civiche Istituzioni Culturali», Udine, n. 11, 2009, 98-111.

I cramari furono favoriti dal bavarese Poppo, patriarca di Aquileia (1019-1042), che era parente del santo di Augusta. Nella parte meridionale di Udine, verso Cussignacco, c’era una chiesa alto medievale, come ricorda Renzo Moreale, su una lieve altura, dedicata a Sant’Ulderico, di cui oggi resta solo il toponimo; anche il duomo di Udine, nel 1200, recava il titolo di Sant’Ulderico (“Sant Uldarî”, in friulano). Vedi: R. Moreale – P. Munini, Cussignacco e la sua roggia, Comune di Udine, s.i.d. [1996]. Per capire la permanenza del nome di quel santo si pensi, inoltre, ai vari cognomi friulani quali: Durì, Dorlì, Dorigo, Durigutto, Durigon, Durisotti (E. Costantini, Dizionario dei cognomi del Friuli, Udine, Messaggero Veneto, 2002). 

Santa Ildegarda nacque nel 1098 e morì nel 1179. È conosciuta nella veste di mistica e di erborista. Ricercava i rimedi più appropriati per lenire i dolori delle perone anziane, che curò amorevolmente. Tedesca e fondatrice del monastero di Bingen, nel Palatinato Renano, era una grande sostenitrice in cucina dello zenzero, rizoma proveniente dall’India (G. Donegani, “Lo zenzero piccante elisir per lo stomaco”, «La Cucina Italiana», n. 1, gennaio 2009, 119). Il suo consiglio alchemico era di macerare lo zenzero nel vino per realizzare una bevanda che, addolcita con il miele, si rivelava portentosa per favorire la vitalità nei convalescenti e negli anziani. Merito del vino, dello zenzero o del miele? In ogni caso, i commercianti che portavano le spezie in Germania erano soprattutto friulani, anzi provenienti dalla Carnia.

Cramari e tessitori friulani emigravano soprattutto verso il Veneto, Trento, il Tirolo e poi la Baviera, il Salisburghese, Augusta e altri centri europei. Nel XII secolo a Egna / Neumarkt, in Alto Adige, vicino a Bolzano, sono menzionati tra i vari mestieri del posto, tessitori (definiti “tessadri” nei contratti) e cimatori di panni, per un traffico commerciale di stoffe di lino, lana e canapa. Una delle prime scritture che ci informano sui friulani nelle terre dell’Alto Adige, come ha riferito Helmut Rizzolli, è una minuta di un notaio di Bolzano, del 1237, che riferisce della presenza di mercanti provenienti dal Friuli: di Tarvisio, di Venzone e di Gemona (H. Rizzolli, “Bolzano città delle fiere”, in R. Festi – L. Nardelli – H. Rizzolli – H. Stampfer (cur), Merkantilmuseum Bozen / Museo Mercantile Bolzano, Bolzano, Camera di commercio, 1998, 41).

Il primo ad interessarsi dei venditori ambulanti friulani fu il patriarca guelfo Gregorio da Montelongo, quando, il 23 settembre 1261, impose un dazio alle merci dei cramari di Tolmezzo, centro abitato più grande della Carnia (P. Paschini, “Gregorio da Montelongo patriarca d’Aquileia”, «Memorie Storiche Forogiuliesi» XVII, 1-2, 1921).

Nel 1278 è citato a Gemona un «Joannes scuntiacrasene» (H. Klein, “I materialisti della Carnia nel Salisburghese”, «Ce fastu?», XXX, 1954). Doveva essere un falegname che fabbricava le “crassigne”, ossia le cassette di legno, contenenti le merci dei cramari. Col verbo “cuinçâ”, in friulano, si intende: trattare, preparare, conciare. Quel falegname di Gemona che “scuntiava” con maestria le “crasene” doveva avere un grande giro di affari, se era noto per questo tipo di prodotti. C’erano, in sostanza, molti cramari in quella cittadina. 

In una pergamena del giorno 11 aprile 1412 a «Glen di Montan», che in italiano è “Gleno di Montagna”, nell’Alto Adige, hanno scritto un documento che ci interessa. L’originale manoscritto è in Archivio Provinciale Di Bolzano (d’ora in poi APB), Archivio Comunale di Montagna, n. 7. Il notaio di Trodena (BZ) scrisse un atto in cui è nominato un «Antonius ser Pelegrini de Cauria». Ma a leggere bene quella parola si potrebbe avere una nuova traccia e intendere anche «de Carnia», perché i Pellegrini sono della Carnia, di Udine, di Pordenone e di Gorizia. Proprio a Montagna – «Montan», in tedesco – è attiva ancor oggi un’osteria del 1536, «Zur Rose», come si può notare da un affresco dipinto sul muro esterno.

Un’informazione priva di fonte riporta che, nel 1451, tra i beni lasciati da un notaio di Cividale, tale ser Everardo c’è «unum ferrum ad faciendam acquavitem», un impianto della distillazione della grappa. Si è trovato una serie di contratti e di testamenti del notaio Enrico quondam Everardi di Cividale, datata tra il 1400 e il 1445, ma non una verifica piena sull’alambicco in questione. Manoscritti originali in Archivio Di Stato Di Udine (d’ora in poi ASUD), Archivio Notarile Antico (d’ora in poi ANA), busta 708.5.

Una crama fotografata a Sappada nel 2018

  1. L’alchimista friulano per eccellenza

Eustachio Celebrino è l’alchimista friulano per eccellenza. Nato a Udine intorno al 1480, studiò in città e si trasferì a Padova per gli studi di filosofia e medicina, ma non  risulta una laurea a suo nome. Costretto all’esilio nel 1511, si recò a Perugia, dove apprese l’arte incisoria dal tipografo Cosimo Bianchino. Fu poeta, calligrafo, incisore e xilografo, nonché autore a Venezia dei primi testi dell’arte della scalcheria e di cosmesi. Forse morì nel 1555, dato che dopo di tale data non si hanno più sue notizie. 

Nel 1526 Celebrino pubblicò a Venezia un libro con un lungo titolo, conosciuto come Refettorio. Vedi in merito: E. Celebrino, Opera noua che insegna apparechiar una mensa a uno conuito: et etiam a tagliar in tavola de ogni sorte carne e dar li cibi secondo l’ordine che usano gli scalchi per far honore a forestieri intitulata Refettorio. Apresso agiontoui alcuni secreti apertinenti al cucinare et etiam a conseruar carne e frutti longo tempo, in Vinegia, per Francesco di Alessandro Bindoni et Mapheo Pasini compagni, 1526. In esso vengono descritti vari menu e le spezie sono citate varie volte. Ad esempio lo «zenzero», oppure la «cannella o spetie dolce». Alcuni cibi sono presentati con salse; è il caso del «lievore conzo in peverata», ossia della lepre condita con la salsa detta peverata, un condimento piccante a base di pepe, mollica di pane e midollo. C’è, infine, la ricetta della «menestra de spinaze con naranci e specie e uva passa sopra», ovvero la minestra di spinaci con arance e spezie e uva sultanina.

In un altro libro Celebrino fornisce gli elementi per la fabbricazione di alcuni cosmetici. Vedi: E. Celebrino, Opera noua piacevole laquale insegna di far varie compositio ni odorifere per far bella ciaschuna donna et agiontoui molti secreti necessari alla salute humana como in la tabula si contiene, intitulata Venusta, in Vinegia, apresso di Augustino Bindoni, 1551. Troviamo, ad esempio, un «Unguento del viso qual usava la Regina de Ungharia cosa eccelente» (pag. 2). Poi c’è la ricetta per il «beleto finissimo» (p. 3), ovvero il belletto per il trucco femminile. Abbiamo una improbabile polvere utile «a far crescere li cappelli e fargli biondi» (p. 6). Ci sono le indicazioni per «far una pomata finissima» (p. 8), e per «far polvere perfomigare [profumare] la camera» e un consiglio pratico per «cavar macchie de panni bianchi & de colore di lana & de lino» (p. 9). I cattivi odori del tempo dovevano essere molti, dato che riporta le istruzioni per «far perfumo fino», oppure la «pasta da fare pater nostri odoriferi» (p. 10); venivano detti “pater nostri” le palline o i cilindretti simili a quelli del rosario. Nella stessa pagina c’è la ricetta per «far moscardini [compresse] da tenere in bocca per far buon fiato»; altre soluzioni sono contro le «zinziue guaste» (gengive infiammate). Poi Celebrino si allarga un po’ troppo, dato che riporta consigli per combattere la «rogna grossa» (p. 12) e addirittura «a far tornare lo aceto in uino» (p. 14). Il mortaio col pestello sono gli elementi alchemici di questo autore, anzi il suo slogan potrebbe essere: «pista [pesta] bene ogni cosa insieme».

Alcuni alchimisti erano appassionati di aromi, perciò si definivano “aromatari”. Maria Bellonci scrisse alcuni romanzi storici che si basavano su minuziose ricerche d’archivio. Dobbiamo darle molto credito quando racconta che, nel 1533, i fratelli Giusto e Umbrasia furono «scovati nella provincia di Udine» per andare a lavorare alla corte dei Gonzaga di Mantova, in veste di aromatari di Isabella d’Este. (M. Bellonci, Rinascimento privato, Milano, Mondatori, 1997, pp. 10, 104, 493, 133 e 162). Gli speziali e gli aromatari preparavano pomate da mano o da viso nella aromateria di corte, che era sita a Palazzo Te. Scrivevano, inoltre, ricette di Isabella d’Este, che era stata educata alla corte di Ferrara da dotti umanisti. Giusto da Udine «era molto studioso di libri astrologici (…), della cosmologia greca, egiziana, indiana, araba, tramandati attraverso i codici spagnoli fino alle nostre biblioteche». Egli era, infine, un fabbricante di «unguenti e composite», in pieno stile alchemico.

  1. Un tessitore di Ampezzo, detto “Cipria”

Frumenzio Ghetta in un suo articolo del 1977 cita un tessitore, Nicolò del fu maestro Giacomo Malavoltis di Ampezzo di Carnia, detto “Cipria”. Vedi: F. Ghetta, Tessitori della Carnia operanti in Trentino nel secolo XVI. Note d’archivio, «Ce fastu?», LIII, 1-4, 1977, 173-174. Tale autore si riconduce ai rogiti del notaio Romolo Covella di Trento, conservati all’Archivio di Stato di Trento.

Il tessitore Nicolò del fu maestro Giacomo Malavoltis si trovò a Fornaci, frazione di Balselga di Pinè, in provincia di Trento, 10 agosto 1563. Fece da testimone di un contratto e fu segnato così: “Magistro Nicolao Textore, quondam Jacobi Ciprie, habitatore Fornacibus”. Per portarsi dietro un simile soprannome è possibile che l’avo fosse un commerciante o fabbricante di cipria, che veniva ottenuta dall’amido e dalla fecola di riso o di frumento e, più tardi, anche dalla patata, col procedimento della polverizzazione nel mortaio di marmo. Era un lavoro di fine “trasmutazione esteriore”, tanto per usare il linguaggio alchemico.

Si è trovata un’altra notizia riguardo alla mobilità territoriale dei Malavoltis di Ampezzo. Un contratto del notaio Mattia Remondini, dello stesso centro carnico, del 12 maggio 1572, menziona il tale Valentino quondam Osvaldo Malavoltis, di Ampezzo abitante in Castions, in provincia di Udine. Vedi: Originale manoscritto in ASUD, ANA, Vacchetta in carta del notaio Mattia Remondini, b 55. In altri minutari dello stesso notaio, alla data del 22 gennaio 1575, si è trovata il riferimento al maestro «Bonifacius q. jop Fazut di Ampetio carnea habitans in Cavalesio». È un'altra conferma della emigrazione di lavoratori della Carnia in Val di Fiemme, di cui Cavalese è il centro abitato principale, oltre che dimora estiva dei principi-vescovi di Trento.

È già stata documentata la presenza di carnici e friulani nel Cinquecento in Alto Adige (vedi F. Ghetta e G. Martina – E. Varutti, in bibliografia), comunque ancor oggi a Egna ci sono significativamente i cognomi friulani: Fabris, Furlan, Tessadri e Trebo. È opportuno precisare che in certi documenti di mercanti carnici, essendo Treppo il loro paese di origine, con una piccola storpiatura si ritrovano nativi di: “Trebo”. Altri cognomi di origine friulana possono essere individuati oggi nei paesi vicini o nel capoluogo dell’Alto Adige: Furlanetto a Bolzano, Delli Zotti a Laives, Plazotta a San Michele Appiano. Più all’interno, in terra degli Asburgo, a Graz, in Austria, c’era un tale Venier (cognome friulano) appaltatore di miniere nel 1590. Vedi in merito G. von Zahn.

Alla fine del Cinquecento a Malborghetto, oggi in provincia di Udine, mentre in quel tempo era sotto la giurisdizione politica del principe-vescovo di Bamberga, c’era un ricchissimo mercante di ferro e legname, con boschi, fucine e numerosi lavoranti alle sue dipendenze (vedi: R. Bianchi). Si chiamava Bulfone Polo (o Wolfang, Bolfone). Le fucine locali producevano falci, chiodi, caldaie, latta, filo di ferro e armi. Si ricorda che tali imprenditori fabbrili erano in grandi affari con Venezia, il cui territorio giungeva fino a Pontebba, poiché la città di San Marco necessitava di ferro e legname per l’arsenale e per la costruzione della fortezza di Palmanova, nel 1593.

Gli scambi mercantili tra Venezia e le Fiandre si intensificarono durante il Cinquecento. Nel 1602 i proprietari della Compagnia delle Indie Orientali, oberata di debiti, decisero di portare il titolo azionario alla quotazione della Borsa valori di Amsterdam. La notorietà di quel marchio assicurò un successo di vendite azionarie in tutta l’Olanda, ma la compagnia solo nel 1610 pagò i dividendi agli azionisti, ma non in contanti, bensì in libbre di cannella e di noce moscata (L. Offeddu). Anche a quei tempi truffe e raggiri si celavano dietro ogni affare, perfino sugli investimenti della Borsa di Amsterdam.

Il commercio ambulante si andò affermando soprattutto nell’arco alpino e nelle zone limitrofe. Nei villaggi in altitudine fu una valvola di sfogo alla ristretta economia delle alte valli. Oltre alla Carnia e ai paesi ladini del Bellunese, del Trentino e dell’Alto Adige, furono coinvolti la Savoia, i Pirenei e perfino la Scozia (L. Fontaine). Nel 1611 gli affari si svilupparono nel quadrilatero Venezia-Lione, Lione-Haarlem, Haarlem-Danzica e Danzica-Venezia. C’era un asse commerciale tra Italia e Paesi Bassi, lungo la Valle del Reno. Un secondo asse commerciale si snodava lungo il Mezzogiorno francese, tra Italia e Spagna.

I mercanti andavano girovaghi per i loro affari ed avevano contatti commerciali con mercanti e finanzieri di altre religioni, come gli ebrei. È stata Hannah Arendt - a pag. 29 di un suo noto libro - a dimostrare che nella Guerra dei Trent’Anni, dal 1618 al 1648, i traffici dei mercanti ambulanti attivi in Europa permisero di avere le vettovaglie per i soldati mercenari, con i prestiti degli ebrei. Helmut Rizzolli, a pag. 59, cita la fiera di Bolzano del 1638, dove è nominato un «Zuane Sala». A parte che potrebbe essere un veneziano, ma più di sicuro è di Forni di Sotto, in provincia di Udine, poiché i Sala sono segnati nei Libri dei battesimi di quel paese della Carnia.

Nel Seicento una compagnia di cramari speziali di Tausia di Ligosullo, in Carnia, andò a stabilirsi a Passau, in Austria. Qualche discendente di tali cramari fece fortuna in quelle terre, come Floriano Morocutti (1679-1735), che fu cappellano di corte, consigliere spirituale e bibliotecario del principe-vescovo di Passau. Vedi: L. Zanini.

S’è trovato un venditore ambulante carnico in una lista di decine di nominativi in una ricerca d’archivio svolta a Ferrara. Il suo nome è annotato così: «Biaggio Pavoni da Triesto». Manoscritti originali in Archivio di Stato di Ferrara (d’ora in poi ASFE), Archivio Storico Comunale, Corporazione dell’Arte de’ Merciai, b 22.3. Per i legami dei cramârs col ducato di Ferrara vedi: A. Anziutti – E. Varutti, Vecchie locande fornesi. Storia delle osterie e degli alberghi dell’Alta Val Tagliamento, Forni di Sopra (UD), Coordinamento Circoli Culturali della Carnia, Ed. di Sfuoi Fornés, 2002, p. 16. Vedi poi: E. Varutti, “Cramars, mercanti senza licenza”, «Il Friuli», 3 ottobre 2003; E. Varutti, “Biaggio Pavoni, merciaio da Triesto. Storia di un ambulante fornese attivo nell’Alto Adriatico”, «Sfuoi Fornés», n. 82, dicembre 2003. Sulla figura di “Biaggio Pavoni” lo scrivente ha tenuto una conferenza il 17 dicembre 2003, dal titolo “Biagio Pavoni di Forni di Sopra cramar abusivo a Ferrara nel 1709”, Comune di Udine, 4.a Circoscrizione – Udine Sud, Via Pradamano.

Biaggio Pavoni da Triesto risulta aver versato, nel 1709, trentasei baiocchi e quattro denari – cioè, moneta pontificia della piazza ferrarese – a tale Giovanni Battista Pezzetti, per esercitare abusivamente l’arte di merciaio, ossia l’ambulante. Nel 1711 pagò baiocchi 54,4 e nell’anno successivo altri 27,2 baiocchi. Contro il Pezzetti la Corporazione dell’Arte dei Merciai di Ferrara intentò causa nel 1730, in quanto «non immatricolato», confiscandogli i libri contabili, nei quali è citato, appunto detto Biagio Pavoni, con una ventina di altri “furlani”, assieme a decine di mercanti veneziani, trentini, milanesi, piemontesi, romani, genovesi, savoiardi, francesi, “un fiammengo” ed altri ancora. Probabilmente il Pezzetti si spacciava per esattore della Corporazione dei Merciai ferraresi, oppure si avvaleva di uno stuolo di agenti e collaboratori per agire su quella piazza padana. Certo è che alla categoria dei Merciai – come risulta dal Libro delle Detterminazioni dell’Arte de Merciari (Asfe) - che si riunivano a Ferrara nella «sagristia di San Romano», per eleggere il «massaro» (o contabile), appartenevano solo una ventina di operatori e non di certo le centinaia di persone elencate nel processo contro il menzionato Pezzetti.

Che i fornesi, mercanti di tele e tessitori, si recassero fuori dell’ambito regionale è attestato dai libri dei morti della Parrocchia di Forni di Sopra (UD). La maggior parte dei decessi avvenuti fuori del Friuli si registra nello stato Tridentino, cui seguono: Venezia, Treviso, Cadore, Ungheria, Baviera, Slovenia e Istria. È allora plausibile che Biagio Pavoni, per i suoi traffici mercantili, si sia prima recato a Triesto (ossia Trieste) e, in seguito, a Venezia e a Ferrara. Di sicuro i Pavoni sono nativi di Forni di Sopra. Come ha scritto Fortunato De Santa nella sua Cronistoria dei Forni Savorgnani, del 1899, in una riunione di vicinia dell’11 agosto 1492 partecipa anche «Floriano Pavon». Le “vicinie” erano strutture organizzative territoriali che deliberavano su questioni di esigenza collettiva. Si consideri poi che nella frazione di Vico, a Forni di Sopra, è documentato il toponimo Cjà di Pavon, (Casa della famiglia Pavoni), come ha evidenziato Alfio Anziutti nel suo Loucs fornés, del 1997.

In una carta dell’8 novembre 1627 è menzionato tale «Pietro Pavoni di Forno abitante in Lorenzago»; vedi: originale manoscritto in ASUD, Comune di Forni di Sopra, b. 9. È un’altra verifica degli scambi commerciali col vicino Veneto. Altre attestazioni sulla forte mobilità territoriale dei mercanti Pavoni sono contenute nei documenti del notaio Pavoni; c’era pure un notaio con detto cognome. A titolo di esempio si vedano le buste 2188 e 2189 in ANA, presso l’ASUD. Nei manoscritti viene descritta la «robba», che poi è data da una serie di tessuti in lana e cotone: «mezzalana, mezzalanetta, bombacina». Talvolta il contratto è di fluitazione, poiché si riferisce alle «taglie n. 1000 per li primi del venturo maggio sarà 1739 al porto d’acqua solito di S. Vido (…)» – ovvero San Vito al Tagliamento (PN).  Firmato: Ludovico Pavoni.

Per concludere si elencano i nomi dei friulani indicati nella sopracitata causa intentata nel 1730 dalla Corporazione dell’Arte de’ Merciai di Ferrara contro Giovanni Battista Pezzetti. Si noti com’è facile individuare le compagnie mercantili familiari. «Pietro Smagna Furlano» è annotato sui libri contabili del faccendiere Pezzetti sin dal 1650, seguono Andrea Toffoli e Francesco Toniuzzo. Nel 1659 ci sono «Jseppe Tonegatto Furlano» e il «Magnifico Antonio Tonegatto Furlano ha pagato per obedienza 1.10». Nel 1663 ci sono «Giovanni Buzzi Furlano e Batta Tonegutto Furlano». Del 1665 è «Tommaso Tonegut Furlano». Simon Toffolo paga dal 1677. Giovanni Toffolo dal 1679. Domenico Ceccoti è annotato dal 1682. Santo Zillano dal 1685. Domenico Gasparini, 1697. Giovanni Rozzi, 1698. Pietro Ceccoti, 1699. Pietro Orti da Triesto, 1708. Marco Biasi da Triesto, 1712. Domenico de’ Lorenzi paga nel 1727 e ancora, nel 1729, lo stesso Domenico de’ Lorenzi da Udine. Manoscritti originali in ASFE, Archivio Storico Comunale, Corporazione dell’Arte de’ Merciai, b 22. 3. Contro le pozioni degli speziali erboristi, che venivano anche detti «medicastri, che hanno più del ciarlatano che del professore», vennero emanati vari editti. Successe così l’8 novembre 1747, quando dal Castello di Ferrara venne letto e pubblicato il bando del cardinale Camillo Paulucci «per gli speziali chirurghi, barbieri ed altri». Pena la galera e la morte, gli speziali e le mammane non potevano preparare «ogli, unguenti… ceroti, unzioni e simili rimedi esteriori» senza l’intervento del medico. Editto originale della stamperia camerale in ASFE, Archivio Storico Comunale, Corporazione Arte Barbieri, b 3.14.

Analizzando certi libri contabili dell’Alto Adige si sono scoperti altri collegamenti con i mercanti ed alchimisti friulani. Nel 1740 venne segnato un tale «Firman Pollo» in una memoria contabile dell’Ospedale del Santo Spirto di Egna. Questo Pollo era il fornitore di un decotto d’erba definito «Laugno decotto» per 54 carantani. Manoscritto originale in APB, Archivio Comunale di Egna, Atti e rendiconti dell’Ospedale di Santo Spirito di Egna, 1566-1800, n. 5. Forse l’erba in questione (Laugno decotto) era la piantaggine (P l a n t a g o  m a j o r), usata contro le punture degli insetti. Secondo Matthioli (cit. p. 507) il «succhio di pintagine» è un rimedio valido per il male di orecchie, le ulcere, le infiammazioni, la dissenteria, i morsi dei cani e «cotture del fuoco». Tante famiglie Polo sono di Forni di Sotto, stando ai Libri di chiesa; proprio i Polo cramârs e tessitori andavano a Trento e in Tirolo. Ne ho trovati almeno una dozzina deceduti in quelle terre, nelle scritture di chiesa di Forni. I Polo erano pure dei buoni zatterai, come si può vedere in un contratto del 4 agosto 1681 «per una mercanzia di legname che si ritroua nel fiume Tagliamento». Vi erano coinvolti «Zanne Pollo e fratello, detti Ghirello (…) e Agostino e fratello Poli» per una scrittura fatta a Forni di Sopra. Originale manoscritto in ASUD, Comune di Forni di Sopra, b 4.

Per ritornare ancora sugli scambi mercantili e culturali con componenti di altre religioni, c’è da dire che in un museo fiorentino si trova una curiosa pietra, recante un cartiglio settecentesco con un’iscrizione in ebraico. Il testo della lastra si riferisce alla “Confraternita dei liberatori dei carcerati” che aveva sede nel Ghetto; si tratta di un’opera scolpita al Museo di San Marco, Firenze. Tale confraternita di ebrei si occupava degli ultimi della società: i carcerati. I suoi componenti erano un gruppo “strano”, come gli alchimisti.

Per i mercanti friulani la città di Trento era un luogo di transito per andare a Milano, Torino e in Provenza, in Francia. Si pensi che il 10 agosto 2008, al mercato all’aperto di Cavaillon, in Provenza, un venditore ambulante di salame affumicato raccontò allo scrivente di avere la madre originaria di Basaldella di Campoformido (UD) e il nonno di Rigolato (UD) «Lui era un Puschiasis - disse».

Il 23 febbraio 1750 morì nella «Civitate Mediolani» Pietro Antoniacomi di 26 anni, proveniente da Forni di Sopra. Manoscritto originale in Archivio Parrocchiale di Forni di Sopra (UD), Liber Mortuorum, 1748-1848. È scritto nei Libri di chiesa, dove si può leggere che il 16 ottobre 1796 «Gotardo q. Pietro Antonio q. Gotardo Lirussi» di 24 anni, è morto nel «distretto e Villa Mantovana». Orsola Segatti Bagatin, la moglie di Giobatta q. Simon Polo Zangrandi, il 6 dicembre 1811, andò a morire a Ostiglia, in provincia di Mantova. Originale manoscritto in Archivio Parrocchiale di Forni di Sotto (UD), Defunctorum Liber Tertius, 1742-1821.

Ancora in Lombardia, nel mese di febbraio 1831, morì Antonio Dorigo, di 28 anni, originario di Forni di Sopra, mentre si trovava a Pavia. In ambiente lombardo il portatore era detto “portarolo”; teneva sulla schiena una grossa cesta e un paniere al braccio. C’è un quadro che lo rappresenta e che reca lo stesso titolo, opera del pittore Giacomo Ceruti, del secolo XVIII; è una pittura ad olio su tela alla Pinacoteca di Brera (MI).

Si sa che a Praga c’è la strada degli alchimisti e, nei secoli scorsi, diversi cramari friulani si trovarono in Boemia, come ha dimostrato in un suo studio, in lingua ceca, Giorgio Cadorini, professore alla Università della Slesia di Opava. A Buda, la parte antica di Budapest, in Ungheria, c’è il Museo della Farmacia dell’Aquila d’Oro, dotato di un laboratorio dell’alchimista. Chissà se i friulani emigrati in Ungheria passarono da quelle parti. Ad esempio nel 1772 erano a Sarvar, in Ungheria, Leonardo Moro, figlio di Domenico, di Paluzza e sua moglie Maria Anna Vanini, figlia di Pietro, di Naunina di Paluzza; vedi: P. Moro.

Tra a fine dell’Ottocento e i primi decenni dell’Ottocento operava a Trieste un cramâr curatore originario della Carnia; si trattava di un vero alchimista. Lo si deduce da alcune lettere di ringraziamento del periodo compreso tra il 1796 e il 1819, tutte datate a Trieste; affidavit manoscritti originali in Collezione famiglia Conighi, Ferrara. Varie persone ringraziavano il tale Antonio Candido, per averle guarite da certi acciacchi col «Cerotto Angelico Meraviglioso». Già il nome del medicamento è tutto un programma. Si è trovata pure la ricetta del mirabolante rimedio, che era a base di cera d’api, zafferano e biacca. Candido è un tipico cognome di Rigolato, precisamente della frazione di Ludaria, da dove i cramârs del posto si recavano a Salisburgo, nel 1787, per la fiera del Carnevale, a vendere vestiario, come si legge nelle carte notarili. Manoscritti originali in ASU, ANA, b 3770, b 3771.

I contatti con appartenenti ad altre religioni si fecero sempre più frequenti, tanto che si verificarono persino degli aiuti monetari. Giovanni Battista quondam Floriano Cella fu cameraro (cioè amministratore) della Confraternita del Santissimo Sacramento di Forni di Sopra dal 14 settembre 1802 fino al 13 settembre 1803. Lui, di fede cattolico cristiana, si annotò la seguente memoria contabile, veramente esemplare: «spesi la carità ad una famiglia di Luterani L(ire) 4». Il manoscritto originale è in ASUD, Comune di Forni di Sopra, Congregazioni Religiose, Fraterna Santissimo Sacramento, Registro Entrata-Uscita, 28 settembre 1748-28 dicembre 1805, 87, b 56.

  1. Alchimisti, tessitori, scalpellini e calzolai

Un’altra traccia della presenza dei cramari fuori dal Friuli e da Venezia nel Settecento si trova nella Chiesa di San Domenico a Ferrara. Si tratta di due lapidi recanti il simbolo tipico dei cramari. È una sorta di marchio con una croce latina a doppio braccio soprastante ad un cuore al cui interno si leggono le iniziali del defunto. Le lapidi pavimentali si trovano vicino alle cappelle a sinistra dell’altare maggiore. In una di tali pietre si legge: «Dom / Sepolcro / di Nicola Calegari / i suoi eredi / restaurata l’anno / 1809 / 3mr». Il cognome deriva dal friulano cjaliâr, che significa “calzolaio”; è presente, con varianti, in tutto il Friuli: da Buja, Majano, Gemona, Udine, fino a Maniago e Pordenone. La versione veneta è caleghèr, con cognome presente pure nel Goriziano. Sull’altra lastra sepolcrale della chiesa di Ferrara, molto logora, non è consentita un’agevole lettura; rimane ben chiaro il segno dei cramari con il cuore sovrastato dalla croce latina a due bracci e le lettere «Aps» segnate al centro del muscolo cardiaco. Si è scoperto che nei momenti di perdurante crisi economica i tessitori e i cramari friulani, ricchi di competenze artigiane e con un certo spirito alchimistico, sapevano mutare mestiere interiormente ed esteriormente, divenendo calzolai, scalpellini o venditori di immagini sacre.

Un altro mercante di Udine e Belluno presente alla fiera di Bolzano nel 1808 al è il tale «Simone Dal Lago», secondo i documenti della Camera di commercio altoatesina esaminati a pag. 71 da Rizzolli.

Tanto per rimarcare l’ampio raggio di azione dei mercanti ambulanti di origine friulana, che arrivavano anche in Francia, si riferisce che nel cimitero di Pieve Tesino, in provincia di Trento, si può leggere la lapide di un certo Battista Avanzo Marchi (cognomi carnici di Ampezzo), nato il 24 settembre 1796 e morto il 28 marzo 1844 «onesto negoziante in Tolosa».

Nel 1833 Antonio Ernesto II di Canal, importante imprenditore fabbrile di Malborghetto, a quel tempo sotto l’Austria, comprò la signoria di Khünburg, nella Valle della Gail, in Carinzia, perché era interessato ai boschi, che gli davano il legname per le sue fucine. Manoscritto originale in Archivio Storico del Corpo Forestale dello Stato, Tarvisio (UD), Raccolta di documenti attestante l’acquisto della signoria di Khünburg, 1833. Undici anni più tardi egli morì e suo figlio, Antonio Ernesto III di Canal non seppe far proseguire l’attività avita, iniziata intorno alla metà del Seicento, quando i fratelli Bartolomeo e Gabriele II di Canal erano abili mercanti di spezie e di mercurio, in perfetta linea con le impostazioni dell’alchimia. Vedi: E. Varutti, “Il cramâr Morocutti da Zenodis, l’imprenditore fabbrile di Canal da Malborghetto ed altre storie di cramarìa”, «Bollettino delle Civiche Istituzioni Culturali», Udine, n. 9, 2003-2004, 142.

Con il nome che portava, quale mestiere poteva fare Giuseppe Cramar, fu Leonardo se non il “rivendicolo”, abitante a Udine nella parrocchia di San Giacomo; com’è riportato nel Registro individui decessi a Udine morì all’età di 53 anni il 6 gennaio 1853, mentre in città stava per abbattersi un’epidemia di colera. Originale manoscritto in ASUD, Archivio Comunale di Udine, Anagrafe, Registro individui decessi 1853-1855, b 7. Il 15 dicembre 1859, a Forni di Sopra, Giacomo Cella e le sorelle, detti Trintin, spesero una lira austriaca per «un vaso Terriaca fina». Si è vista la Memoria contabile manoscritta nel Libro Partite di me Giuseppe Dorigo N. 1860. 1859-1863, Collezione del Circolo Fornese di Cultura di Forni di Sopra.

Per gli alchimisti la triaca o terriaca era un medicamento preparato con moltissimi ingredienti, ritenuto efficace antidoto contro ogni veleno e toccasana contro tutte le malattie. Il patronimico “Trintin” , come ha detto Aurelia Cella, deriva dal fatto che «ca i vecius i siva a Trient par imparâ a fâ al tisidou e il me bisnono al jera dit il Pizal Trintin» (Qui i vecchi andavano a Trento per imparare a fare i tessitori e il mio bisnonno era detto il Piccolo Trentino). Fonte: Aurelia Cella, Reli da la Furlana o ancje dal Trintin (1936), Forni di Sopra, intervista del 15.09.2001 a cura dello scrivente.

Non c’erano alchimie, ma dei mezzi di pagamento assai originali in uso nei secoli passati, come lo scambio delle merci o di lavoro contro merci. Così Maria e Luigia Agnese, del fu Pietro Ermacora, dette Macan, di Forni di Sopra, a fronte di un debito di austriache Lire 22,56 per «generi avuti», come formaggio, sorgo (mais), tabacco ed altro, il 26 marzo 1862 andarono a portare letame con la gerla nei campi del creditore. Ecco la memoria contabile, tratta da pagina 12 di un libro dei conti del periodo:

«1862, 26 Marzo Avere Luigia per viaggi 6 a portar grassa [letame] più li 27 [marzo] altri 5 Avere [centesimi di austriache Lire, simbolo = aL.] 0,55».

Dalle partite originali manoscritte nel libro Maestro di me Alessandro Antoniacomi di Forni di Sopra n: 1 uno da 13 Dicembre 1859 usque a… Bollato, 1859-1889, cc. 231, con pagine tagliate. Collezione di Casa Antoniacomi di Via San Giacomo, Forni di Sopra. I mezzi di pagamento erano variegati. Ad esempio Domenica Cella, del fu Floreanon, vedova Agnese di Pietro Ermacora il 12 aprile 1861 pagò i suoi debiti con «un Capretto aL. 4,00». C’era chi pagava portando fieno, oppure pelli di capretto, o persino «una piegora aL. 7,50» (una pecora, pag. 71). In un paese di tessitori era normale pagare con una «fatura di tela aL. 9,60» (pag. 74); tale scrittura è sul conto della moglie e della sorella di Osvaldo Ferigo, detto Dindio del 3 marzo 1866. Il carradore Giovanni De Santa, del fu Giovanni Batista, detto Guol, pagò il 10 ottobre 1864 con il taglio di legname e con «la condotta di taglie in Mauria da Cesare e Luigi Siroc» (pag. 162).

In un altro libro contabile di un artigiano di Forni di Sopra ci sono le annotazioni relative alle riscossioni in natura. Tra i clienti del falegname Antonio Antoniutti Bisaru c’era il tale Egidio Cappellari che, nel 1872, ricevette «un pajo Garbere importa I.L. [Italiane Lire] 1», come segnato alle pagine n. 6 e 7. Altre paia di «sgarbere o garbere» furono prodotte nel 1874 e nel 1875; potrebbero essere gli zoccoli, in friulano “galocis”. Cappellari, doveva essere un sarto, poiché pagò le calzature con un «un pajo di Brage I.L. 1,74». Le braghe costavano come due paia di zoccoli. Un altro cliente del falegname Antoniutti effettuò una serie di pagamenti veramente curiosa; si va dalla grappa, alle carni e pesci, inclusi i viaggi con la gerla per portare letame. Si tratta di Giovanni Comis, detto Cugnol, che il 17 marzo 1875 si ritrovò ad «aver giustatto la corletta importa 0,50» (pag. 8). In friulano “la corlete” è la ruota per filare. Il falegname gli fece poi «la cardensa 2,24»; la credenza è un mobile basso per cibi e stoviglie. Giovanni Comis pagò nel seguente modo:

«1875 9 Febbraro avermi datto / una Lira e mezza di carne / più un gottisino [superalcolico]

17 Marzo ricevo un litro di acuavitta più N. 6 saradeloni [sardelle affumicate]/ più ricevo N. 4 Bisatt [anguille] / più una Libbra di formagio

          19 Aprile davermi menato N. 4 viagi di grassa [letame]».

Dalle memorie contabili originali manoscritte nel Libretto contabile del falegname Antonio Antoniutti Bisaru, Collezione Aurelia Cella, Reli da la Furlana o ancje dal Trintin, Forni di Sopra. Alla fine dell’Ottocento c’era sempre una certa mobilità territoriale tra il Friuli, il Veneto, l’Alto Adige e il Centro Europa. Nel cimitero di Egna, ad esempio, c’è una lapide dedicata a un certo Giovanni Battista Giacomuzzi, morto il 9 giugno 1880. Il cognome è tipico di Sedegliano, Grions, Forgaria, Udine e Codroipo. Sono ormai gli anni dell’emigrazione friulana transoceanica verso l’Argentina, gli Stati Uniti e il Canada, ma un gruppo di famiglie dei Valente di Resia si ritrovò, nel 1901, a Nagykanizsa, in Ungheria, sulla strada che da Zagabria, in Croazia, reca al lago Balaton. Chissà se passarono per Buda, dove c’è un laboratorio dell’alchimista? Le lettere manoscritte sono della collezione privata di Gemma Valente Bastajànawa, ved. Barbarino, di Resia (UD).

  1. I venditori ambulanti in una ricerca dell’Istituto Stringher di Udine

Lo scrivente, oltre ad insegnare Economia turistica nell’Istituto di Istruzione Superiore “B. Stringher” di Udine fino al 2016, ha agito in veste di esperto nell’ambito del progetto “Lingua e cultura friulana”. In questo quadro, nel 2004 propose di effettuare una ricerca sui venditori ambulanti, chiedendo ed ottenendo la collaborazione della Camera di commercio di Udine. Stilato un questionario, con una quindicina di domande, fu somministrato a 296 persone, soprattutto nonni o parenti degli allievi, che fecero da intervistatori. All’indagine collaborarono le professoresse Enrichetta Del Bianco, Elisabetta Marioni, Anna Maria Zilli e Viviana Zoratto. Tra i 179 questionari restituiti, si rileva che un’alta componente, pari all’86% del campione, ha conosciuto i venditori ambulanti. Tra i mestieri più noti c’è quello dell’arrotino (61%), chiamato in lingua friulana nelle varianti di “gua, gue, guo, guia o ucefuarpis”.

Altri ambulanti, chiamati “peçotâr”, oppure “peçotâro, straçarûl”, proponevano tele, abiti, mercerie (58%), oppure frutta e verdura (35%), definiti “pomâr, pomarûl, miluçâr e melonâr” e pesce (32%), con l’appellativo di “pessâr, pescjadôr, pessivendul” e, al femminile, “pessarie”. In realtà, veniva o viene venduto un po’ di tutto. Saponi, tappeti, padelle, sementi, pollame, scarpe e spezie. Qualche ambulante comprava dalla gente, nel passato, persino le pelli di talpa o di coniglio (“piel di farc e di cunin”).

Tra gli intervistati c’è chi ricorda di aver visto gli ambulanti sino agli anni sessanta (24%), oppure fino agi anni settanta (12,8%), ma c’è qualcuno che li vede ancor oggi (10%), oltre agli extracomunitari di colore, infatti, ci sono altri venditori, con furgoni, di pesce, ortofrutticoltura e casalinghi nei piccoli centri abitati. C’è chi li vide girare a piedi e con un carretto a mano o a traino animale (50,7%), oppure in bicicletta, triciclo o piccoli mezzi a motore (40,8%). Con tale indagine si è raccolta la storia delle venditrici ambulanti friulane, che dormivano all’osteria Fusâr, in Via Pradamano, a Udine. Tali donne vendevano cucchiai, mestoli ed altri oggetti casalinghi di legno, perciò erano dette “Lis sedoneris” (in friulano “sedon” è il cucchiaio). Si muovevano a piedi ed operarono nell’Ottocento, fino alla tarda metà del Novecento. Camminavano moltissimo. Bussavano alla porta, proponendo i loro prodotti, ma intanto cercavano di chiacchierare con semplicità e “par furlan”. In quei tempi, anche un piatto di minestra poteva rappresentare il corrispettivo per un articolo venduto. Si potrebbe tradurre il loro mestiere con la parola di “mestolaie”.

Si è scoperto che l’osteria da “Fusâr”, di Via Pradamano, a Udine, reca quel nome (il fusaio, o fabbricatore di fusi per filare), proprio in onore di quelle donne, che, gerla in spalla, ripiena di mercanzia, affrontavano, camminando, i percorsi dei loro tentativi di vendita domiciliare. «A vignivin di Claut, cul om che al guidave il cjar – ha detto il signor Gino Nonino, a Baldasseria di Udine – e a lavin a durmî tal toglât dai Roiats, lì di Fusâr» (Venivano da Claut, in provincia di Pordenone, col marito che guidava il carro, e andavano a dormire nel fienile dei Roiatti, da Fusâr).

In un’altra intervista si è saputo che «Me nono Zuanin Roiatti, nassût tal 1863 e muart tal 1941 – ha riferito Elsa Roiatti - che al faseve l’ustîr, al dave di durmî ai fusârs e a lis sôs feminis e alore ducj lu clamavin fusâr» (Mio nonno… faceva l’oste e dava da dormire ai fusai e alle loro donne e, allora, tutti lo chiamavano fusâr). Erano donne di Cimolais e Claut, in provincia di Pordenone, oppure della Carnia. C’era una certa Letizia Sottocorona, da Collina di Forni Avoltri. Un altro ritrovo udinese di “sedoneris di Claut” era il cortile di casa Giacomelli, in borgo Grazzano, dove nel 1920-’30 aveva inizio il mercato delle venditrici di mestoli. Si è saputo che “lis sedoneris” venivano chiamate anche con altri appellativi. Ad esempio “lis montagnaris”, poiché scendevano coi carri e i loro uomini, dalle montagne. Per tali figure del commercio ambulante c’era pure il nome di “Chei des cjaçutis”, ossia: quelli delle stoviglie. “Las Nardanas” erano dette le donne che venivano da Erto (“Nert”), in provincia di Pordenone.

Ecco che “las Clautanas cu las crassignas” erano le portatrici di Claut. La “crassigne” è un oggetto ancora più antico, usato addirittura dai “cramars”, gli ambulanti carnici del Settecento e dei secoli precedenti. Era un contenitore di legno, da portare a mo’ di zaino sulle spalle. Era in montagna e in Carnia che, durante i freddi inverni, venivano fabbricati questi utensili in legno, per poi venderli in pianura, mediante le donne di casa, giovani incluse. Ecco spiegato allora il termine “lis cjargnelis cul zei plen di robe”  (le carniche con la gerla piena di roba). Alcune donne erano definite “lis fusanis”, perché vendevano per le strade della città i fusi per filare, quando in città funzionavano varie filande.

Un’altra interessante vicenda è quella delle famiglie Barbarino, Valente e Di Lenardo, della Val Resia. Si tratta di autentiche schiatte familiari di venditori ambulanti, come gli arrotini Barbarino, che giravano per Austria, Slovenia, Croazia, Ungheria e Serbia o i Valente, mercanti di agrumi a Graz, Liezen e Praga. Con l’aiuto di Lucillo Barbarino si è potuto ricostruire l’albero genealogico dei Valente, il cui avo ottocentesco è tale Italico Luigi Valente, grossista di frutta e verdura a Liezen, in Stiria e a Praga, in Boemia. L’ultimo suo discendente, che si dedicò al commercio ambulante, è Arturo Valente (Resia 1915 - Gemona 1974). Imparato il mestiere dal nonno a Liezen, proseguì l’attività in loco nel 1938, secondo la normativa del tempo, con l’autorizzazione del podestà di Resia. Dagli anni sessanta fu a Udine, in qualità di arrotino a domicilio. Morì a Gemona nel 1974.

Durante la ricerca sui venditori ambulanti del Novecento, gli studenti sono incappati nella parola friulana “cramar”, ossia nel mercante ambulante dell’Età Moderna che dalla Carnia si portò sino nel Centro Europa, per vendere tessuti, filati e spezie. Proprio alle “Donne dei Cramârs” fu dedicata una conferenza, tenuta dallo scrivente il 4 marzo 2006, presso il Castello di Udine, e una sezione espositiva di ritratti di capostipiti delle famiglie borghesi friulane, con particolare riferimento ai volti femminili. Alcuni insegnanti, infine, oltre ad aver visto il Museo dell’Arrotino a Stolvizza di Resia, in provincia di Udine, hanno visitato il più importante museo italiano dei mestieri ambulanti, che si trova a Montelparo, in provincia di Ascoli Piceno, che contiene un elevato numero di biciclette e tricicli da arrotino, panettiere, gelataio, pescivendolo, spazzacamino, materassaio, sarto e impagliatore degli anni 1920-1960.

Pupazzo (cm 12) rappresentante il venditore ambulante di casalinghi. È un “Räuchermann” (fumigatore d’incenso). Comprato a Dresda (Germania), aprile 2011.

Fonti orali. Testimonianze dello scrivente raccolte a Udine, se non altrimenti indicato.

Lucillo Barbarino Matjònawa (1941), Resia, int. del 06.06.2005 e del 07.08.2006.

Aurelia Cella, Reli da la Furlana o ancje dal Trintin (1936), Forni di Sopra, intervista del 15.09.2001 a Forni di Sopra.

Gino Nonino (1944), Udine, int. del 07.05.2005.

Elsa Roiatti, Udine, int. del 09.05.2005.

Collezioni private

Casa Antoniacomi di Via San Giacomo, Forni di Sopra, libro Maestro di me Alessandro Antoniacomi di Forni di Sopra n: 1 uno da 13 Dicembre 1859 usque a… Bollato, 1859-1889, cc. 231, con pagine tagliate, manoscritti

Aurelia Cella, Reli da la Furlana o ancje dal Trintin, Forni di Sopra, Libretto contabile del falegname Antonio Antoniutti Bisaru, ms.

Circolo Fornese di Cultura di Forni di Sopra, Memoria contabile manoscritta nel Libro Partite di me Giuseppe Dorigo N. 1860. 1859-1863, ms.

Famiglia Conighi, Ferrara e Udine, ms.

Gemma Valente Bastajànawa, ved. Barbarino, di Resia (UD), lettere ms.

Archivi e musei citati

Archivio Parrocchiale di Forni di Sopra (UD), Liber Mortuorum, 1748-1848.

Archivio Parrocchiale di Forni di Sotto (UD), Defunctorum Liber Tertius, 1742-1821.

Archivio Provinciale di Bolzano (APB), Archivio Comunale di Montagna, n. 7; APB, Archivio Comunale di Egna, Atti e rendiconti dell’Ospedale di Santo Spirito di Egna, 1566-1800, n. 5.

Archivio di Stato di Ferrara (ASFE), Archivio Storico Comunale, Corporazione dell’Arte de’ Merciai, busta 22.3; ASFE, Archivio Storico Comunale, Corporazione Arte Barbieri, b 3.14.

Archivio di Stato di Trento, Archivio Notarile.

Archivio di Stato di Udine (ASUD), Archivio Comunale di Udine, Anagrafe, Registro individui decessi 1853-1855, b 7. ASUD, Archivio Notarile Antico (ANA), buste 55, 708.5, 2188, 2189, 3770 e 3771; ASUD, Comune di Forni di Sopra, bb. 4 e 9; ASUD, Comune di Forni di Sopra, Congregazioni Religiose, Fraterna Santissimo Sacramento, Registro Entrata-Uscita, 28 settembre 1748-28 dicembre 1805, 87, b 56.

Archivio Storico del Corpo Forestale dello Stato, Tarvisio (UD), Raccolta di documenti attestante l’acquisto della signoria di Khünburg, 1833.

Museo dell’Arrotino a Stolvizza di Resia (UD).

Museo italiano dei mestieri ambulanti, Montelparo (AP).

Museo di San Marco, Firenze.

Pinacoteca di Brera (MI).

Bibliografia

A. Anziutti – E. Varutti, Vecchie locande fornesi. Storia delle osterie e degli alberghi dell’Alta Val Tagliamento, Forni di Sopra (UD), Coordinamento Circoli Culturali della Carnia, Ed. di Sfuoi Fornés, 2002.

H. Arendt, Le origini del totalitarismo, Torino, Comunità, 4.a ediz. [ediz. origin.: New York 1948], 2002.

M. Bellonci, Rinascimento privato, Milano, Mondatori, 1997.

R. Bianchi, Aspetti della riforma cattolica nella Val Canale dall’Epistolario di Salvatore Secreto parroco di Malborghetto (1595-1603), tesi di laurea, Università di Trieste, facoltà di Lettere e filosofia, relatore prof. Giovanni Miccoli, anno accademico 1980-1981.

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E. Celebrino, Opera noua che insegna apparechiar una mensa a uno conuito: et etiam a tagliar in tavola de ogni sorte carne e dar li cibi secondo l’ordine che usano gli scalchi per far honore a forestieri intitulata Refettorio. Apresso agiontoui alcuni secreti apertinenti al cucinare et etiam a conseruar carne e frutti longo tempo, in Vinegia, per Francesco di Alessandro Bindoni et Mapheo Pasini compagni, 1526.

E. Celebrino, Opera noua piacevole laquale insegna di far varie compositio ni odorifere per far bella ciaschuna donna et agiontoui molti secreti necessari alla salute humana como in la tabula si contiene, intitulata Venusta, in Vinegia, apresso di Augustino Bindoni, 1551. 

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RINGRAZIAMENTI – Per la collaborazione ricevuta, lo scrivente ringrazia le direzioni e gli operatori degli archivi e dei musei visitati per la presente ricerca. È inoltre riconoscente ai prestatori dei documenti delle collezioni private, nonché alle persone intervistate. Un ringraziamento va rivolto, infine, alle professoresse Fabiola Macuglia e Patrizia Pireni.

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Una versione dello studio presente è comparsa nel web, in inglese, col titolo seguente: Pedlars and Alchemists in Friuli. History of itinerant sellers in an alpine reality, by Elio Varutti, Udine (Italy), September 23, 2011.

https://www.academia.edu/1198644/Pedlars_and_Alchemists_in_Friuli_History_of_itinerant_sellers_in_an_alpine_reality