Miranda, Cisa e le altre. L’esodo da Fiume, da Zara e dall’Istria, 1945
1. Premessa
Scritto nel 2013, con lievi aggiornamenti, il presente contributo, oltre alla tradizionale letteratura sul campo e nel web, è formato da una serie di interviste sull’esodo istriano, fiumano e dalmata dal 1945 a cura dell’autore. Alcune testimonianze, soprattutto dall’universo femminile e certe produzioni creative sulla medesima tematica sono state raccolte dagli allievi e dagli insegnanti di un Istituto di Udine nelle attività del Laboratorio di Storia, che ha reperito diverse fotografie, documenti, oggetti vari e corrispondenza del periodo in esame. Nella fotografia, del 1954, si vedono i bambini del Centro Smistamento Profughi di Udine nel giorno della Befana.
La sfera culturale entro cui s’intende operare non può trascurare i riferimenti letterari ad alcuni romanzieri, che qui si accennano per l’alto significato etico, che sprigiona da certe loro opere. Hanno essi descritto i contrasti tra italiani e jugoslavi, con l’annessa questione delle foibe. Tali autori hanno trattato dell’esodo, della fuga dalle terre istriane, fiumane, dalmate e alto isontine, in seguito alla Seconda guerra mondiale. Hanno presentato la tematica dei profughi con uno spirito particolare. Il periodo trattato è denso di avvenimenti a livello europeo e di guerre scatenate. È un periodo che va dalla rivoluzione russa, del 1917, alla caduta del Muro di Berlino, avvenuta nel 1989, definito come il “secolo breve”, secondo lo storico Eric Hobsbawm. Si tratta, almeno, di cinque grandi autori italiani, come Fulvio Tomizza con La miglior vita, pubblicato nel 1977, Marisa Madieri con Verde acqua (1987), Carlo Sgorlon, con il suo Foiba grande (1992), Enzo Bettiza con Esilio (1996) e Claudio Magris con Microcosmi (1997) e con Alla cieca (2005).
Il saggio presente si avvale, oltre alla tradizionale letteratura sul campo e nel web, anche di una serie di ricerche scolastiche, legate ad alcune lezioni di storia e di economia turistica del Novecento. Per la collaborazione prestata, ringrazio, oltre gli intervistati, i professori Daniela Conighi, Carla Maffeo, Giancarlo Martina, Elisabetta Marioni, Alessandro Pirani, Maria Pacelli, Monica Secco, Antonio Toffoletti e Anna Maria Zilli, Dirigente scolastico dell’Istituto Statale d’Istruzione Superiore “B. Stringher” di Udine.
2. Il Centro Smistamento Profughi di Udine
I profughi istriani e dalmati, a Udine in Via delle Fornaci, erano vicini di casa della mia famiglia. Il presente contributo amplia certi argomenti già pubblicati in: Varutti Elio, Il Campo Profughi di Via Pradamano e l’Associazionismo giuliano dalmata a Udine. Ricerca storico sociologica tra la gente del quartiere e degli adriatici dell’esodo, 1945-2007, Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (Anvgd), Comitato Provinciale di Udine, Udine, 2007, p. 394. Per tale indagine sono state raccolte 103 testimonianze dalle fonti orali, sia profughi che popolazione locale. Fino al 31.12. 2013 lo scrivente ha effettuato altre 67 interviste a profughi e ai loro discendenti, utilizzate anche per il presente contributo. Vedi pure: Varutti E., Cara maestra, le scrivo dal Campo Profughi. Bambini di Zara e dell’Istria scolari a Udine, 1948-1963, “Sot la Nape”, 4, 2008, pp. 73-86.
Negli edifici della ex Gioventù Italiana Littorio (Gil) di Via Pradamano, fu attivo il più importante Centro di Smistamento Profughi (Csp), dal 1947 al 1960, che accolse oltre centomila profughi istriani, giuliani, fiumani e dalmati, secondo i dati del Ministero dell’Interno e dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (Anvgd), Comitato Provinciale di Udine. Si tratta di un terzo dell’esodo. Meglio conosciuto come complesso ex Gil, è stato il più grosso Csp d’Italia, secondo Silvio Cattalini, presidente del Comitato Provinciale di Udine dell’Anvgd. Documenti su carta intestata del Csp sono in: Archivio di Stato di Udine (Asud), Prefettura di Udine, Appendice, busta 125, carta dal Registro spedizione masserizie profughi. Cattalini Silvio (Zara, Regno d’Italia 1927-Udine 2017), intervista del 23.06.2009. Lui è stato presidente del Comitato Provinciale di Udine dell’Anvgd dal 1972. Le interviste (int.), ove non specificato, sono state effettuate da Elio Varutti a Udine. Altra fonte orale: Cesaratto Leonardo (Bucarest 1926 - Udine 2011), impiegato del Campo Profughi, int. del 26 gennaio e del giorno 11 febbraio 2004. Direttore del Campo il 19 agosto 1948 era Luciano Guaita.
Progettato dall’architetto Ermes Midena nel 1934, il complesso era un Collegio Convitto dell’Opera Nazionale Balilla (Onb). Poi divenne di proprietà alla Gil. Fu caserma tedesca (1944-1945) e inglese (1945-1946). Vi passarono più di centomila giuliani, istriani e dalmati, ma anche balcanici in fuga dal comunismo jugoslavo. Qui trovarono un primo alloggio e un po’ di solidarietà prima di proseguire verso altre mete, nazionali ed estere. L’Italia allestì 140 campi profughi attivi fino alla consegna delle abitazioni per gli esuli . Vedi: Rumici Guido, Catalogo della mostra fotografica sul Giorno del Ricordo, Roma, Anvgd, 2009. Padre Rocchi scrisse di 109 Crp. Vedi: Rocchi F., L’esodo dei 350 mila giuliani fiumani e dalmati, Roma, Associazione Nazionale Difesa Adriatica, p. 194.
L’importanza del Csp di Udine è stata riaffermata dagli studi di Raoul Pupo. Vedi il suo: L’Ufficio per le zone di confine e la Venezia Giulia: filoni di ricerca, “Qualestoria”, XXXVIII, 2, dicembre 2010, pp. 57-63. Ciò è emerso dopo il ritrovamento dell’Archivio per l’Ufficio per le Zone di Confine (Uzc) del 2008, presso il Centro polifunzionale di Castelnuovo di Porto, provincia di Roma. Dai 676 cartolari emerge che le erogazioni governative per le zone di confine dal 1946 al 1950 ammontano a 3.804 milioni di lire, come risulta dalla tabella n. 1, che vede Udine in terza posizione dopo le spese per Trieste (dove sono stati operativi ben 18 campi profughi e che si prese il 60 per cento dei finanziamenti) e Pola (23,3%). Nella ricerca di Pupo si capisce che il Csp di Udine riceveva profughi di zone come Canale d’Isonzo, Tolmino, Caporetto, dal Centro Raccolta Profughi (Crp) di Gorizia, che fu istituito il giorno 8 dicembre 1946, nei locali dell’Ufficio Provinciale dell’Assistenza Postbellica.
Tabella n. 1 – Spese per gli Uffici Provinciali dell’Assistenza Postbellica, 1946-1950
Province |
Milioni di Lire |
Percentuale |
Pola |
885 |
23,3 |
Trieste |
2.310 |
60,7 |
Udine |
249 |
6,5 |
Gorizia |
211 |
5,5 |
Bolzano |
124 |
3,3 |
Trento |
25 |
0,7 |
Totale |
3.804 |
1 |
Fonte: Ufficio per le Zone di Confine, Centro polifunzionale di Castelnuovo di Porto (Roma), citato da Pupo R., L’Ufficio per le zone di confine e la Venezia Giulia: filoni di ricerca, “Qualestoria”, 2010.
Il 10 dicembre 2007, nel 60° anniversario dell’apertura del Cps udinese, fu inaugurata una lapide con le autorità, come l’ingegnere Silvio Cattalini. Poi intervennero il vice sindaco Vincenzo Martines, gli studenti e gli insegnanti della scuola media “Enrico Fermi”, accompagnati dal loro dirigente scolastico Stefano Stefanel e gli alpini dell’Ana. Il testo della lapide, in pietra bianca d’Aurisina, è il seguente:
In questi edifici, dal 1947 al 1960,
funzionò il Centro di Smistamento Profughi,
ove transitarono circa centomila persone
dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia.
Il Consiglio della 4.a Circoscrizione pose
a perenne ricordo delle genti dell’esodo.
Udine, 10 dicembre 2007
Dopo la Seconda guerra mondiale nacque il Territorio Libero di Trieste (1945-1954), che era suddiviso in due zone: una amministrata dagli iugoslavi e l’altra dagli angloamericani. Col Trattato di pace di Parigi del 1947, che sancì, tra l’altro, per l’Italia, la perdita dell’Istria, dell’Alta Valle dell’Isonzo, di Fiume e di Zara, ebbe inizio l’esodo degli italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia. Fuggivano essi dalla violenza etnica degli iugoslavi, che reagirono per vendetta riguardo all’oppressione e all’invasione fascista.
Accadde così che Udine, prima grossa città italiana del confine orientale, desse ospitalità ai centomila profughi, provenienti dalle terre perse. Per l’organizzazione dell’Ufficio Provinciale Assistenza Post-bellica di Udine, dipendente dal Ministero dell’Interno, furono accolti nel Campo profughi allestito in Via Gorizia, o più precisamente in Via Monte Sei Busi, dal 1945 al 1947, in alcuni vecchi ambienti scolastici e in certe bidonville costruite dai soldati inglesi, quali strutture di primo acquartieramento militare. (Vedi: Asud, Prefettura di Udine, Appendice, b 125. Cfr: Libri storici delle Parrocchie della Beata Vergine del Carmine e di San Pio X a Udine. Ringrazio per la collaborazione mons. Luciano Quarino, parroco della Beata Vergine del Carmine e don Tarcisio Bordignon, parroco di San Pio X. Alcuni documenti riguardo al Csp sono rintracciabili nell’Archivio Osoppo della Resistenza in Friuli (Aorf), Biblioteca del Seminario di Udine).
Dopo il 1948 e, fino a marzo 1960, come ha scritto “Il Gazzettino” (del 27 febbraio 1960, Cronaca di Udine, p. 4), funzionò a Udine un vero e proprio Centro di Smistamento Profughi in Via Pradamano, al civico numero 21, negli edifici ex Gil, progettati e realizzati dall’architetto Ermes Midena nel 1934-1935. La struttura scolastica fu inaugurata nel 1937, alla presenza di re Vittorio Emanuele III, come Collegio Convitto dell’Opera Nazionale Balilla. Passò poi alla Gil. L’edificio fu occupato dai tedeschi nel 1943 e nel 1945 dagli inglesi. Dal 1947 fu Centro di Smistamento Profughi giuliani, istriani e dalmati, dopo il trattato di pace con la Jugoslavia. Chiuse i battenti nel 1960. Fu poi sede staccata dell’Istituto Tecnico Industriale “A. Malignani”. Dall’anno scolastico 1978-‘79 divenne sede della Scuola Media Statale “E. Fermi”, che fino a quel momento occupava i locali sotto la chiesa parrocchiale. Tale scuola è qui operativa pure nell’anno scolastico 2013-2014. Vi sono oggi anche alcuni uffici comunali decentrati, una piscina, la biblioteca della circoscrizione n. 4 “Udine Sud” e un ambulatorio pediatrico.
L’area di Via Monte Sei Busi, dove oggi c’è un campo rom, ospitò comunque i profughi istriani ed altri sfollati nelle baracche fino al 1956 circa, quando ebbero in assegnazione le nuove case. Tale zona era chiamata da loro il “Vilagjo de Fero”, oppure dagli udinesi il “Villaggio Metallico”.
Il 3 settembre 1945 monsignore Giuseppe Nogara, arcivescovo di Udine, nominò in qualità di presidente della Pontificia Commissione Assistenza, sezione di Udine, don Abramo Freschi - Archivio della Curia Udinese (Acau), f. Pontificia / Commissione / Colonie, c. 1. Ringrazio don Maurizio Volpe, responsabile dell’Acau, per la cortese collaborazione. Dagli atti e comunicazioni arcivescovili del 1946, si sa che il sostegno ai profughi giuliano dalmati è di competenza della Pontificia Commissione Assistenza.
Se la Shoah passa per Tarvisio
La prima persona che mi parlò della retata nazista nel quartiere ebraico di Fiume in realtà mi stava raccontando i fatti dell’esodo dalla città del Cuarnero, dopo il giorno 8 settembre 1943. Con questa digressione capii che la Shoah passò per Udine, Gemona e Tarvisio. “I tedeschi presero donne, bambini ed anziani – ha detto la signora N.C. – e li portarono via con i camion. Nei giorni successivi altri camion e uomini in divisa per caricare mobili, merci ed ogni cosa. Si portarono via tutti, non lasciarono neanche uno spillo”.
Alcune donne friulane si organizzarono, andando nelle stazioni a vedere i treni di ebrei diretti in Germania. “Era il 1943-1944 – ha detto Alessandro Pirani – e mia madre Maria Teresa Mezzavilla ricordava che a Tarvisio, dai treni, i prigionieri lanciavano dei biglietti con l’indirizzo dei loro familiari, poi le donne friulane organizzate scrivevano a quegli indirizzi, avvertendo che il familiare ebreo era passato di lì”.
Un’altra fonte orale, nelle ricerche scolastiche, ha riferito i ricordi della sua famiglia. È il professor Ezio Cragnolini, nato a Gemona del Friuli (UD) nel 1955, da me e dagli allievi intervistato il 28 novembre 2007. “Mia madre – ha detto Cragnolini – raccontava di certi treni carichi di gente, che si lamentava nei carri bestiame fermi in stazione a Gemona e lei assieme ad altri gemonesi davano un po’ di uva e un po’ di frutta dai finestrini a quei poveretti [ebrei di Fiume], che erano italiani”.La signora Anna Chiavon di Udine ricordava che da bambina aveva “visto transitare i treni di ebrei per la Germania quando, con altre bambine, andavo al passaggio a livello di Via Cividale per guardare i treni e salutare i passeggeri”. - Fonte orale: N. C., Udine 1926, poi visse a Fiume, int. del 24.02.1996 e del 15.11.2005. Pirani Alessandro, Tolmezzo (UD) 1957, int. del 21.12.2011. Cagnolini Ezio, Gemona del Friuli (UD) 1955, int. del 28.11.2007. Chiavon Anna, Udine (1937-2003), int. del 5.01.2003 di Elisabetta Marioni.
3. Il Rapporto Maffi del 1957 sulle foibe
È chiamato il “Rapporto Maffi”. Cessato il segreto militare, nel 2013 è finalmente stato pubblicato il rapporto di Mario Maffi (Cuneo 1933), ufficiale degli Alpini, fotografo e speleologo, calatosi per ordini superiori nel 1957 dentro alcune foibe e nel pozzo minerario di Basovizza (detto comunemente Foiba di Basovizza, oggi Monumento nazionale), presenti i Carabinieri, il Gruppo Grotte di Monfalcone e la Società Alpina delle Giulie. L’ufficiale alpino fotografò ossa umane e molte altre prove dell’eliminazione effettuata dai partigiani titini. Il rapporto Maffi per la foiba di Monrupino stima una presenza di circa 500 cadaveri, mentre a Basovizza sono più del doppio, considerati gli oltre venti metri di stato saponoso sulle pareti. Di notte e in segreto furono ispezionate anche altre quattro foibe poco oltre la frontiera jugoslava, con analoghi risultati. “La china di pietrisco proseguiva anche in questo secondo ambiente – ha scritto Maffi – formando una scarpata di oltre una decina di metri. Lo discesi e mi sentii accapponare la pelle. Tra il pietrisco su cui camminavo spuntavano ossa umane: una mandibola, alcune costole, un osso iliacosacrale, vertebre, un braccio così corto da far pensare ad un bambino di 7 o 8 anni. Spostando le pietre si mettevano a nudo ancora ossa e materiali informi marcescenti neri che potevano essere lembi di panno mescolati ad ossa”. Vedi: Mario Maffi, 1957. Un alpino alla scoperta delle foibe, Udine, Gaspari, 2013, pag. 80. Vedi pure: Paolo Scandaletti, Storia dell’Istria e della Dalmazia. L’impronta di Roma e di Venezia, le foibe di Tito e l’esodo degli italiani, Pordenone, Biblioteca dell’Immagine, 2013, pagg. 172-174. Nella letteratura dell’esodo, fino agli ultimi decenni del Novecento, la questione delle foibe viene trattata in modo marginale dagli stessi esuli autori dei libri. In un volume di oltre 300 pagine su Dignano d’Istria, ai tragici fatti del 1945 sono dedicate due righe: “Prelevamento e forzato avvio verso la morte di diversi tranquilli cittadini. In fine, nel 1947 il grande esodo dei Dignanesi, e la loro sistemazione in diverse località della Patria”. Delton Domenico, Del Ton Giuseppe, Donorà Luigi, Fabro Giovanni, Fabro Inclimona Pompea, Gaspard Giovanni, Gorlato Achille, Gorlato Laura, Manzini Bruno, Toffetti Giachin Maria, Dignano e la sua gente, Trieste, Centro Culturale “Gian Rinaldo Carli”, 1975, pag. 146.
4. In fuga con la barca a remi nel 1956
Le parole sull’esodo della signora Narcisa D. sono singolari, soprattutto perché per fuggire verso l’Italia certi suoi parenti usarono una barchetta a remi. Lei venne via dall’Istria nel settembre 1958, dopo che il marito era scappato il 1° maggio 1956. Narcisa D., detta “Cisa” (Lussingrande, Pola, Regno d’Italia, 21 dicembre 1928), faceva la sarta. Alla data dell’int. era pensionata, risiedendo a Percoto, Pavia di Udine (UD); int. a cura di Monica C. del giorno 1.6.2005. Questa intervista è frutto di una ricerca scolastica, guidata dell’insegnante d’italiano e storia, professoressa Elisabetta Marioni, nell’ambito del progetto “Lingua e cultura friulana e lingue minoritarie”, inserito dal Piano dell’Offerta Formativa dell’Istituto Professionale di Stato per i Servizi Alberghieri e della Ristorazione “Bonaldo Stringher” di Udine. Nell’anno scolastico 2004-2005 gli allievi della classe 2° A Commerciale hanno intervistato i nonni, con un questionario strutturato, sulle leggende e tradizioni popolari del Friuli o della propria terra. Sono stati effettuati poi la discussione in classe, oltre allo svolgimento di temi sull’argomento dell’indagine. L’allieva Monica C. ha raccolto i dati e un’ulteriore intervista sull’esodo istriano con questionario mirato. Ringrazio la prof.ssa Marioni, la sua allieva e la nonna intervistata per aver concesso la pubblicazione dei testi. Nonna e nipote non hanno consentito, tuttavia, alla segnatura del cognome per esteso.
La foiba era il luogo per nascondere le vittime della pulizia etnica? “Noi non avevamo le foibe – ha detto la signora Narcisa D. – perché non ci opponevamo; i croati sì, si uccidevamo fra di loro per politica (si ammazzavano persone che appartenevano a due diversi tipi di partiti), e loro venivano gettati nelle foibe”.
All’arrivo dei titini, in che modo sono cambiati i rapporti fra gli italiani e i croati? “I rapporti cambiarono molto – ha risposto – nei primi tempi c’erano rapporti molto freddi, perché i titini usavano il sistema russo, e quindi erano cattivi. I titini prendevano le persone, sia uomini sia donne e le mandavano a lavorare nei lavori pesanti”.
In conseguenza dell’occupazione titina, com’è cambiata la sua vita e quella della sua famiglia? “Io lavoravo nella sartoria del mio paese, a Lussingrande – ha aggiunto –, poi arrivarono i titini, e presero quattro di noi, una delle quali io, e ci mandarono a lavorare a Fiume, a passare i mattoni [ai muratori, NdA] per costruire case. A Fiume avevamo un direttore molto buono che faceva lavorare noi donne solo quando i titini venivano a controllare. La sera, noi istriane, andavamo al teatro a vedere “Il Nabucco”, oppure “La Tosca”, e tante altre opere. I miei fratelli erano andati a Lussingrande, da una zia, a lavorare nei campi. Mia sorella Maria, detta Ici, era a lavorare nella fabbrica del pesce del paese, e io, dopo aver lavorato per un mese e mezzo a Fiume, nei lavori forzati, tornai a lavorare in sartoria. Il momento peggiore fu, quando, nel 1948, con [dopo] il Trattato di pace, molta gente scappò. Il governo croato creò delle “opzioni”. Se volevi andare a vivere in Italia chiedevi l’opzione, ma non la concedevano a tutti. È per questo che la gente cui veniva revocata, scappava di nascosto. Mio marito Severino e suo fratello Antonio, nel 1956, furono costretti a scappare a Fano, in [vicino a] Senigallia [provincia d’Ancona], con la barca a remi”.
La decisione di partire è stata presa da lei o da un altro componente della sua famiglia? Per quali motivi? Quali le ragioni della scelta del paese di Percoto come luogo di residenza? “Nel 1949 io, mio marito Severino, i suoi fratelli Antonio e Giulio e i loro genitori Domenica e Giacomo facemmo richiesta per l’opzione, ma la domanda di trasferimento fu accettata solo per Giulio, Domenica e Giacomo. Giulio partì nel 1949, Domenica e Giacomo nel marzo 1956, mentre Severino e Antonio scapparono il 1° maggio 1956, nella giornata dei lavoratori, così non sarebbero mancati al lavoro e nessuno li avrebbe catturati. Io, sposatami nel 1952, quando mio marito partì, rimasi ad abitare a Lussingrande, con mia sorella Ici, mia figlia Anna Maria di un anno e pochi mesi ed ero in attesa di Nerina che sarebbe dovuta nascere nell’agosto 1956. Riuscii a raggiungere mio marito solo nel settembre 1958, grazie al suo richiamo. Partii con le mie due bambine, in direzione di Trieste, dove mi vennero a prendere tutti i familiari, per portarmi a Percoto. Giulio divenne il cappellano di Percoto nel 1950, i suoi genitori abitavano in canonica. Lui voleva che tutta la famiglia abitasse nei pressi di Udine, per stare vicini, così decidemmo di andare a vivere a Percoto”.
Giulio è il sacerdote Monsignore Giulio Vidulich che morì il 18 ottobre 2003. Era nato a Lussinpiccolo il 23 ottobre 1927, provincia di Pola (Regno d’Italia) e, frequentato il seminario di Zara, completò la preparazione sacerdotale a Udine, dove aveva celebrato la prima messa nel 1950. Svolse il suo ministero sacerdotale in provincia di Udine, come cooperatore a Verzegnis dal 1951 al 1954 e a Percoto, dal 1954 al 1963. Poi fu pievano di Porpetto, in provincia di Udine, fino il giorno in cui mancò ai vivi. Il 3 giugno 2000 fu insignito dell’onorificenza pontificia di Cappellano di Sua Santità. Essendo molto legato al Comitato provinciale di Udine dell’Anvgd, partecipò a tante iniziative a favore degli esuli.
Quando, lei e la sua famiglia, siete partiti, che cosa avete potuto portare con voi? “Partii con due cassoni contenenti oggetti personali, più due mie valigie”.
Si ricorda il momento della partenza? “Sì, mi ricordo di aver provato molti sentimenti toccanti e malinconici, perché sono una persona riflessiva e sensibile. Mi dispiaceva lasciare la mia terra, i parenti e gli amici”.
Quando il Parlamento italiano ha deciso di dedicare la giornata del 10 febbraio al ricordo dell’esodo dei profughi istriani, fiumani e dalmati e alle vittime delle foibe, quali sono stati i suoi pensieri e sentimenti? “Io avrei voluto che tutti quelli emigrati in tutto il mondo tornassero indietro, nella loro terra in Istria. Ma mi sono rassegnata, perché è un desiderio impossibile da avverare”.
5. Un caso di “cultura dell’esodo”
La signora Brussich Miranda, vedova Conighi, è nata a Pola il giorno 11 agosto 1919 ed è morta il 26 dicembre 2013 a Ferrara. “Iera el Regno d’Italia – lei teneva a specificare –”. A Ferrara, ultima tappa del suo esilio, è stata intervistata dallo scrivente in varie occasioni, dal 17 agosto 2003 al 21 agosto 2013, alla presenza della figlia Daniela Conighi. La signora Miranda viveva a Fiume, dove si era sposata nel 1942 con Carlo Enrico Conighi (Fiume 1914 – Ferrara 1995). Lei, suo marito e il figlio Carlo Cristiano (Fiume 1943-Ferrara 2010), furono profughi a Trieste, poi andarono a Belluno, Forlì, Modena e Ferrara. Alcuni gruppi di suoi parenti furono esuli a Udine, Trento, Firenze, Roma, Norimberga e in Svizzera, mentre certi cari amici di famiglia ripararono a Bolzano. La situazione della signora Miranda è emblematica. Rappresenta il vissuto delle genti di frontiera, nel significato dato dallo scrittore Fulvio Tomizza, letto, apprezzato e più volte citato dalla stessa signora intervistata.
Un esodo spontaneo da Fiume, di cui poco si sa, avvenne nelle fasi più concitate dello Stato Libero di Fiume, quando il comandante Gabriele D’Annunzio si prendeva le cannonate della corazzata Roma, su ordine delle autorità del Regno d’Italia. Dopo il Natale di sangue del 1920 vi furono alcune forme di profuganza. Era il 9 agosto 1921 e la signora Amalia Rassmann Conighi andò profuga a Grado. Amalia Rassmann (Trieste, 1887 - Udine 1954) sposò a Fiume l’architetto Carlo Leopoldo Conighi il 19 maggio 1910. Era figlia di Antonia Mosettig e di Eduard Julius Justus Rassmann, direttore della Banca d’Austria e Ungheria a Fiume. Ho utilizzato: Knobloch-Sporkhorst Ingeborg, Stammtafel Rassmann, s.n.t. (ma: Stoccarda, 1934?), in: Collezione Conighi, Udine.
Amalia con i due figli Carlo Ferruccio, di otto anni e Carlo Enrico, di sei, ottenne dalla Questura di Fiume, Delegazione d’Italia un “permesso speciale” d’espatrio, redatto in lingua italiana. Così fuggì in treno “nel Regno in transito per l’Austria tedesca via Tarvisio o Postumia” fino a Villacco (Austria). Il “permesso” reca i timbri del Consolato di Spagna a Fiume, che scrive in tedesco, curando gli interessi austriaci evidentemente. La signora Amalia Rassmann utilizzò i servizi bancari della Kärntner Bank di Klagenfurt, con succursali a Villacco, Wolfsberg e Sankt Veit an der Glan. Il “permesso” aveva durata per tutto il 1921, ma il 21 settembre dello stesso anno, gli sfollati fecero ritorno a casa, dopo aver soggiornato presso una pensione, come risulta dall’agenda, ricca d’annotazioni varie, e dalle ricevute bancarie conservate, oltre al suddetto “permesso speciale” della signora Amalia Rassmann. È interessante notare, infine, la lingua usata in tale “permesso speciale”, che reca il numero d’emissione 19.728, a dimostrazione che l’Ufficio Passaporti della Questura di Fiume doveva lavorare sodo in quel frangente. Lo stampato è in italiano. La parte da compilare a mano o a macchina contiene, tra l’altro, la seguente dicitura: “Viaggia assieme ai due bambini Ferucci d’anni 8, e Harri 6”. Il figlio Ferruccio è segnato in dialetto fiumano col vezzeggiativo “Ferucci, o Ucci”, mentre Enrico è indicato un po’ alla tedesca con “Harri” (Collezione Conighi, Udine, agende, ricevute, stampe, manoscritti = ms).
Dalle parole di Miranda traspare una “cultura dell’esodo”, nel senso che trasferire persone, famiglie e grossi gruppi di cittadini fu un fatto vissuto da lei sin da bambina, quando la nonna e le zie le parlavano dei trasferimenti forzatinel “Barackenlager” di Wagna (Austria), effettuati a Pola dalle autorità asburgiche nel 1914 fino al 1918. Sulla deportazione del 1914 di profughi italiani in Austria in campi con baraccamenti vedi: Lepre Rita, Profughi nel Barackenlager di Pottendorf-Landegg. Il racconto degli abitanti di S. Lorenzo Isontino e di S. Martino del Carso, “Iniziativa Isontina”, n. 103, dicembre 1994. Vedi anche: Gorlato Achille, Il campo profughi istriani di Wagna 1914-1918, in : Delton Domenico, Del Ton Giuseppe et alii, Dignano e la sua gente, cit., pp. 139-144.
La prima forma d’evacuazione popolare vissuta dalla signora Miranda, accadde nel 1941. Dai carteggi familiari della famiglia Conighi si hanno varie conferme. La guerra dell’Italia contro la Jugoslavia iniziò il giorno 6 aprile 1941. Da alcune lettere e cartoline postali si legge che l’ingegner Carlo Alessandro Conighi, sua moglie Elisa Ambonetti e la figlia Maria Regina Conighi il 2 aprile 1941 si trovano “a Grado, provincia di Gorizia, presso la Villa Olga, in Viale Dante Alighieri, 21”. Da un’altra lettera di quei giorni si sa che la signora Amalia Rassmann Conighi e la figlia Helga Maria Conighi sono riparate presso l’albergo Impero di Trieste, mentre suo marito, l’architetto Carlo Leopoldo Conighi risulta sfollato ad Abbazia, vicino a Fiume, presso il “Grande Albergo” (Collezione Conighi, Udine, ms). Carlo Leopoldo Conighi (Trieste 1884–Udine 1972), architetto – esponente col padre ed altri costruttori della Sezessionstil a Fiume –, legionario dannunziano a Fiume e dirigente dell’Anvgd di Udine, sposò Amalia Rassmann che gli diede tre figli: Carlo Ferruccio (Fiume 1912–Roma 1998), Carlo Enrico Edoardo (Fiume 1914– Ferrara 1995) e Helga Maria (Fiume 1923–Udine 2000).
Si pubblica, a questo punto, uno stralcio di una lettera di una profuga, che si conclude con una constatazione assai cruda: “Bisogna sopportare tutto, siamo profughi e questa parola dice tutto”. L’autrice è Marie Rassmann esule da Fiume in Germania. Nel 1954 scrisse al cognato e alla nipote a Udine, dopo aver appreso la notizia della morte della sorella Amalia. Tutte le affettività familiari sono state omesse e si riporta solo il testo che allude alla condizione di profugo, poiché è quanto mai indicativo.
“Norimberga, 3 febbraio 1954, Carletto mio carissimo, Helga mia!
(…) Anch’io sento l’età e la mia costituzione non è così forte da poter sopportare tanto. Tutta quella mancanza di tatto, che è qui all’ordine del giorno, bisogna inghiottire, e corrode i nervi e la salute. Anche Rudi [un famigliare] è qualche volta alla disperazione e sono io quella che deve dargli nuova energia e conforto. Ma non ci resta altro scampo, bisogna sopportare tutto, siamo profughi e questa parola dice tutto.(…) Sono sempre la vostra Maria”.
Rassmann Marie, vedova Gramisch e vedova di seconde nozze Kienel (Fiume 1893-Norimberga1986) è stata insegnante di Lingua italiana a Norimberga, ritornò in Italia negli anni 1960-1970 per trascorrere, in estate, qualche giorno di vacanza sulla riviera romagnola con la famiglia.
6. Intervista a Miranda Brussich vedova Conighi, esule da Fiume
L’esodo istriano, fiumano e dalmata è costituito da 350 mila persone, per padre Rocchi; 250 mila, invece, per Raoul Pupo. (Pupo Raoul, Il lungo esodo. Istria: le persecuzioni, le foibe, l’esilio, Rizzoli, Milano, 2005). Vedi: Rocchi p. Flaminio, L’esodo dei 350 mila giuliani fiumani e dalmati, Associazione Nazionale Difesa Adriatica, Roma, 1990, pp. 654. Le cifre riprodotte da padre Rocchi e da altri autori dell’esodo sono contestate, in quanto eccessive, da altri studiosi, come Buvoli, Cernigoi e Vice. Alcuni di loro sono stati definiti “negazionisti”, poiché negano le uccisioni avvenute nelle foibe. Vedi: Cernigoi Claudia, Operazione foibe a Trieste, Kappa Vu, Udine, 1997. Buvoli Alberto (a cura di), Venezia Giulia 1943/1945. Foibe e deportazioni. Per ristabilire la verità storica, Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, Comitato Regionale del Friuli Venezia Giulia, Udine, 1998. Cernigoi Claudia, Operazione “foibe” tra storia e mito, Kappa Vu, Udine, 2005. Vice Pol, Scampati o no. I racconti di chi “uscì vivo” dalla foiba, Kappa Vu, Udine, 2005. Vi sono, infine, alcuni autori che non si identificano con il classico esodo (italiani in fuga dalle violenze titine) e le tematiche ad esso connesse (foibe). C’è chi sostiene di essere partito con la famiglia senza alcuna difficoltà e senza problemi. Vedi: Raimondi Cominesi Luigi, La mia Fiume. Testimonianza – memoria, “Storia Contemporanea in Friuli”, XXXVI, n. 37, 2006.
Domanda – L’esodo da Fiume coinvolse, dopo il 1945-1946, circa ventimila italiani residenti colà, secondo le ricerche di Raoul Pupo. Se ricordela qualche cossa de poco prima de vignir via da Fiume?
Risposta – Sì, siamo stati… evacuadi da Fiume nel 1941 per il passaggio del fronte. Ne ga portadi verso Dignano e Pola, che la iera piena de altri evacuadi. L’evacuazion iera dovuda a la guera contro la Jugoslavia, se lori i atacava Fiume, alora ga evacuado la popolazion. Xe durado due setimane, dopo semo tornadi a casa nostra. Iera Pasqua. Fiume iera completamente svodada.
A causa del passaggio del fronte, nel 1941, fu evacuata pure la popolazione di Zara, come ha ricordato Silvio Cattalini, che fu profugo nelle Marche, in provincia di Ancona. “Ci trattavano bene tutti quanti – ha detto Cattalini – chi si sarebbe immaginato l’accoglienza tutta diversa del 1946?”.
D. – Ci furono degli eventi particolari, signora Miranda che avete ricordato tra donne, dopo l’esodo?
R. – Sì, iera il 1945 e i tedeschi i faceva saltar el porto de Fiume per non farghe trovar el porto ai slavi che vigniva, alora i lo ga distruto, i ga fato saltar no so se anche la diga… el molo lungo, sì anche lì i ga fato saltar, per far danno. Là i iera i magazzini generali, dove finiva la ferrovia, dove i tigniva viveri e tante robe. I tedeschi gaveva questi magazzini de robe congelate. Là con la Sixta andavimo a prender mattonelle de ovi, tuto sbatudo insieme bianco e giallo e fato poi mattonelle. Se podeva far fritaie, no iera bon savor, ma insoma iera pur sempre ovi. Iera guera e fame. Nei ultimi tempi i tedeschi i faceva la guardia e i saveva che i doveva andar via. La zia Helga con mi semo andade a veder quando i lasciava liberi ‘sti magazzini, chi voleva podeva andar cior de la popolazion. Semo andade e gavemo portà via un quarto de manzo, duro che non te digo su le spale, in due e lo gavemo messo in un posto per cusinar, dato che vivevimo in cantina, perché la casa vigniva continuamente bombardada, alora i gaveva tutto rinforzado con pali grossi le cantine e là iera le lavanderie e gaveva quelle cose in cemento dove te facevi bollir i bucati che se accendeva el fogo sotto, la Giovanna che iera la domestica la faceva bollir i bucati con la cenere el lunedì per far la lisciva. Alora no iera pignate grandi per ‘sto quarto de manzo, alora noi gavemo fato el brodo ne la lavanderia con le signore della casa e vigniva dalle case vicine… La fame cossa che faceva. Tutti i saveva tutto.
D. – Quando siete venuti via da Fiume?
R. – Son vignuda via de Fiume a Nadal del 1946 - e i titini i era entradi fin al fiume Eneo, mi gavevo una valigia picola. A Pola i xe stadi mandadi via i slavi dai inglesi. A Tersatto, in alto, i era i slavi con un canon e i bombardava Fiume. Mio marito ‘l era a Castelnuovo d’Istria nel maggio 1945. Parto in coriera, organizada per portar via i profughi. Parto col bambin. Dopo a Mattuglie ga sonà l’alarme e semo andadi in un rifugio. Lì go trovà zio Giorgio Conighi che ‘l era comandante dei pompieri a Trieste e con la machina dei pompieri e l’autista me ga portà a Trieste in Via Pascoli. Semo rivadi dalla zia Mercedes Philippovich Conighi che Giorgio tigniva ‘l bambin in brazo… i diseva che a Trieste ‘l era un comitato per i profughi e ne sistemava e i dava duemila lire.
D. – E gli altri familiari?
R. – Mio fradel Guerrino Brussich ‘l era vignudo via da Fiume con la Clara, sua moglie, che la iera restada a Fiume con la Pucci che nasce il 21 giugno 1945. Iera Gabriella Brussich, detta Pucci, che ga fato la giornalista della Rai a Trieste. Alora xe vignudi via con la mama e col papà de Clara, che ‘l era un Recchiutti.
D. – Servivano dei documenti particolari per partire?
R. – Nel 1946 bisognava gaver un permesso e alora la Silvia Sinibaldi se ga fato far dal suo dotor un certificado che il picio Carlo ‘l era malado e ‘l gaveva bisogno de una visita medica a Trieste, ma lui el era con mi a Fiume veramente… Bisognava andar a far la fila a le sei de matina per i permessi dei slavi per vignir via de Fiume. Alora mio fio Carlo xe stado con mia mama, Elisa Zanetti Brussich e un po’ con zia Tina, zia Pina, che le iera Clementina e Giuseppina Zanetti. Eh, zia Pina gaveva tanta nostalgia de Pola! Dopo xe stado coi nonni Amalia Rassmann e Carlo Leopoldo Conighi e zia Helga Conighi fin a Pasqua. A Trieste son stada con mio marito a Pasqua in Via Imbriani e lavoravo in una dita che se ciamava Canal che lavorava per le ferrovie, iero la galopina de la dita e in una banca dove i me ga mandado se ga ricordado dei Conighi, de mio suocero, l’ingegner Carlo e del suo antenato Alessandro, che ‘l era console dei Asburgo a Singapore.
Si tratta di Alessandro Giuseppe Conighi (Trieste 1807-1877) divenuto, nel 1864, il primo console austriaco di Singapore, come emerso dalle cartelle e dai protocolli della Camera di commercio, custodite all’Archivio di Stato di Trieste (Governo Marittimo, Rubrica 1229, protocollo 1264) e da alcune corrispondenze epistolari intessute dallo scrivente con il National Archives of Singapore, della Repubblica di Singapore e con l’Österreichisches Staatsarchiv – Kriegsarchiv, di Vienna (Austria). Vedi: Hof und Staats-Handbuch des Kaiserthumes Österreichisch-Ungarischen Monarchie, Wien, 1866-1877. Straits Settlements Blue Book, 1877-1878. Si può approfondire con: Varutti E., Il cramâr Morocutti da Zenodis, l’imprenditore febbrile di Canal da Malborghetto ed altre storie di cramarìa, “Bollettino delle Civiche Istituzioni Culturali”, Udine, 9, 2005, pp. 111-162. Sono state utili pure le Collezioni private delle famiglie Conighi di Ferrara, Roma, Trento e Udine.
D. – Poi che cosa è successo?
R. – Nell’agosto 1947 l’Inail ga dà il lavoro a Belluno a mio marito. Iera una cosa meravigliosa, un posto fisso. I era andadi a Udine la zia Maria Regina Conighi, zia Helga, mia suocera Amalia Rassmann Conighi, mio suocero l’architetto Carlo Leopoldo Conighi e ‘l nono bis, che iera l’ingegnere Carlo Alessandro Conighi, perché la zia Maria la iera amica della signorina Giordani, alieva de l’Educandado Uccellis de Udine. Lori i ghe ga dà casa in afito de Via Volontari de la Libertà. Una stanza per ‘l nono bis e zia Maria e le altre done in sofita con Carlo Conighi l’architeto.
D. – Ci racconta dei Campi profughi?
R. – So de un Campo profughi de Pescara dove stava un medico de Fiume, con la moglie che la iera una Baucer, fia de l’indipendentista copado dai slavi. Lori i xe stadi i primi che ga mazado i slavi.
D. – Qualcuno è stato in campi di prigionia croati?
R. – Zio Giorgio Conighi xe stado in campo de prigionia slavo per quaranta giorni vicin Trieste. Alora mio marito [Carlo Enrico Conighi] xe andà da avocato Enrico Okretic in Via Roma, che ‘l era comunista, per domandarghe aiuto in favor de zio Giorgio. Xe de dir che l’ingegner Adolfo Dukic “Giofo”, l’Okretic e Amalia Rassmann iera parenti. Zia Mercedes la mandava ‘l fio Elio Conighi a dormir de soto dal farmacista per paura che i slavi lo portasse via. Dopo xe stado liberado zio Giorgio. Mio marito a Trieste ga lavorado da l’ingegner Giorgio Pugliato a Roiano, ah, se andava in tram. La iera la impresa Pugliato, Cumin e un terzo socio che ‘l era ebreo, ‘l xe sta nascosto in una camera senza mai uscir. Anche Ruggero Cantoni, marito de Silvia Sinibaldi, ‘l era ebreo. Le iera tre sorelle Silvia, Laura e Nella Sinibaldi”.
D. – C’erano altri parenti dei campi profughi?
R. – A Firenze da Pola dove i era i inglesi, xe andada zia Maria Zanetti, perché trasferida alla Manifattura Tabacchi. Alora ‘l era un vecio fabricado vodo adibido ai profughi. Iera i divisori coi cartoni e le zie Zanetti le ga abitado così per qualche anno. Zia Pina la more nel 1953 e i viveva decine de profughi vicin de le Cappelle Medicee, vicin del mercato. Son andada a Firenze per ‘l funeral de zia Pina e go visto tanti profughi istriani a Firenze. Dopo xe sta Pino Sarcià, un sicilian che viveva a Fiume, esiliado a Ferrara, a contarme che i triestini e i fachini no voleva scaricar le navi dei profughi perché, i diseva, i portava via ‘l lavoro a lori. A Forlì iera Gianni Sorgarello.
D. – Qualcuno dalla città quarnerina si trasferì a Trieste, come fu per Giorgio Conighi, legionario fiumano, che ebbe il grado di capitano ai tempi dell’impresa dannunziana. Egli sfuggì ai titini, con la moglie Mercedes Philippovich, il figlio Elio Conighi e la governante Maria Muha, detta “Mizzi” e altri parenti. Avvenne poi il suo arresto da parte degli slavi, nel maggio 1945, e la reclusione in campo di prigionia. Perché gli slavi arrestarono a Trieste il capofamiglia Giorgio Conighi?
R. – Perché lui no voleva meter la bandiera rossa al posto de quela italiana fora de la caserma dei pompieri dove che el lavorava. Iera la ocupazion slava e i voleva la bandiera rossa.
D. – Allora, quando fu liberato, in seguito a trenta giorni di reclusione, tale famiglia riparò a Trento, dove oggi vivono i suoi discendenti. L’occupazione titina di Trieste durò fino al 12 giugno 1945. Ci furono, per caso, dei fatti violenti?
“Mi raccontavano in famiglia che nel 1945, durante i quaranta giorni di occupazione jugoslava a Trieste, vari tiri di mortaio furono sparati dai titini da Piazza Goldoni su in Castello”. Fonte orale: Segale Aldo, Trieste 1942, int. del 28.09.2011.
D. – C’è un altro aneddoto curioso riferito alla governante Mizzi? So che fece la spola al carcere del Coroneo per avere notizie “de signor”, ovvero di Giorgio Conighi, mentre gli altri componenti della famiglia erano terrorizzati per gli arresti e le sparizioni.
R. – Proprio lei, la Mizzi, che da ragazza iera stada mandada, nel 1930 dai suoi familiari da Bucovizza, presso Villa del Nevoso, provincia del Carnaro, a lavorar come domestica in città, era solita dire che: “Me ga messa a sedici anni a servir a Fiume perché imparo ben parlar talian”. Proprio così la diseva: “Imparo ben parlar talian!”.
D. – Come avete saputo dove era recluso Giorgio Conighi?
R. – Ah, Giorgio lo ga portado via i slavi e no se sapeva dove che el iera. Per fortuna mio marito gaveva un parente Okretic, l’avvocato Enrico Okretic, come che disevo prima, che abitava in Via Roma a Trieste. Lui, che el iera de sentimenti slavi, el xe andado per saver dove che el iera Giorgio e ga savudo.
D. – Signora Miranda, me parlela ancora dell’avvocato Enrico Okretic?
R. – Eh! Gaveva la bandiera rossa sul pergolo. Me ricordo che mi e mio marito se iera da lui e passava una dimostrazion slava e se semo afaciadi tuti dal pergolo. Quando i gà visto da soto i ga batudo le man. Mi tremavo che mio marito ghe mostri i corni, ma xe stado prudente e xe ga solo ritirado. No ga dito niente. Cussì l’Oktretic iera slavo, te vedi come che iera le famiglie. El iera parente de una sorela de mia suocera. Un iera Okretic. Un altro iera Dukic, el Giofo. Dukic iera primo cugin de l’Okretic.
D. – Da cosa scappavano i fiumani?
R. – Iera la gran paura de sparir, come xe sparido el fio del rappresentante de automobili della Lancia de Fiume, sior Delfino e anche la sua mamma xe sparida, che la iera andada a cercarlo, dopo iera sparida la maestra Lola Sennis e anche la sua mamma, che la iera anche ela insegnante, xe sparida.
Sulla sparizione e l’incarceramento delle insegnanti Sennis Margherita e Gigliola, detta Lola, madre e figlia, avvenuti dopo il 6 maggio 1945, scrive Luigi Torcoletti alle p. 290-292 del suo libro. Cfr: Torcoletti Luigi Maria, Fiume ed i paesi limitrofi, Tip. S. Girolamo Emiliani, Rapallo (GE), 1954, pp. 352. Pure padre Rocchi nel suo volume intitolato L’esodo dei 350 mila…, citando l’Albo dei caduti fiumani, pubblicato nel 1984, dal Libero Comune di Fiume in Esilio, scrive di loro nei seguenti termini: “Sennis Gigliola in Peresson, incarcerata e scomparsa con la madre professoressa Duminich Margherita in Sennis”. Cfr: Rocchi P. Flaminio, op. cit., p. 315.
D. – Ricorda una cosa brutta dopo l’esodo?
R. – Eh! A Belluno xe gaveva 18 gradi sotto zero e la casa senza riscaldamento. Mio marito gaveva el termoforo con la corente eletrica per scaldarse le mani e per un contato ga ciapado tropo calor. Le mani gaveva bruciature, cussì semo andadi in ospedal, che iera a tre chilometri. Tuto a pie. In ospedal ga messo pomate e fasciature che ga dovudo tignir per vari giorni.
D. – Chi è la sua più grande amica?
R. – Iera la Zia Mine, che faceva Rudan, noi in famiglia se ciamava Zia Mine. Maria Rudan, vedova de prime nozze Mohovic e vedova Lehmann. La iera nata nel 1906 a Fiume, Impero d’Austria Ungheria. Xe morta a Bolzano. La iera vignuda via da Fiume in camion e col treno, nel 1947, col primo marito, che iera l’avvocato Gastone Mohovic e xe andadi a Bolzano perché saveva ben parlar el tedesco, oltre che l’italiano. Diseva che l’esodo xe stado una tragedia per noi italiani. Dopo ela la ga vissudo a Cesena. Iera mia amica e andavimo a teatro insieme, quando che mi abitavo a Forlì. Gavemo passade tante belle ore insieme con ela, la sua famiglia, mi e mio marito.
Rudan Maria (Fiume, Impero d’Austria Ungheria 1906 - Bolzano 2008), int. a Bolzano il 17 luglio 2003. Aveva compiuto gli studi superiori a Dresda, in Germania. Raccontò, tra le altre, che in casa a Fiume era d’uso parlare varie lingue con la seguente sequenza: il lunedì, ad esempio, si doveva parlare tedesco, il martedì francese, mercoledì inglese, giovedì italiano, poi il croato e persino l’ungherese, dato che Fiume era pertinenza e “corpo separato” della corona ungherese dal 1776. Ha scritto Giovanni Kobler: “Anno 1776, Li 21 ottobre l’i.r. [imperial regio] governo di Trieste, mediante il suo consigliere barone de Ricci, consegnava la città di Fiume al regio governo ungarico” (p. 213). Vedi: Kobler G., Memorie per la storia della liburnica città di Fiume, vol. III, Stabilimento Tipo-litografico fiumano di Emidio Mohovich, Fiume, 1896, pp. 308.
7. Esuli istriani passati per Udine
Un’esule da Pola ha ricordato che, verso il 1949, i suoi genitori Anna Sciolis e Domenico Millia, fabbro di Rovigno, assieme ad altri profughi istriani furono ospitati nel Tempio Ossario di Udine. Si tratta di Maria Millia vedova Meneghini (Rovigno 1920 – Udine 2009) int. del giorno 11 maggio 2004 e 10 febbraio 2008. Altra fonte sul caso: Rosalba Meneghini Capoluongo, Udine 1951, int. del 3.12.2011. Nel 1959, appunto, erano ancora ospitate alcune persone dell’esodo nella stessa chiesa, essendo pieno il Csp di Via Pradamano. “Una famiglia è ospitata nella cripta del Tempio Ossario – si legge su “L’Arena di Pola” del 28 aprile 1959 – chi all’asilo notturno e altri nelle case diroccate di Via Bertaldia, ora demolite”. Si pensi alla coincidenza incredibile: cinquanta anni dopo proprio nell’area di Via Bertaldia a Udine fu inaugurato il 26 giugno 2010, il Parco Vittime delle foibe in presenza di Furio Honsell, sindaco della città. La signora Rosalba Meneghini Capoluongo è figlia di Maria Millia, esule di Rovigno. “Mia madre parlava poco, aveva paura – ha detto – invece dopo il Giorno del Ricordo, c’è la voglia di capire da parte dei discendenti. I profughi raccontano e si ascoltano cose mai sentite fino ad ora”. Su tale tematica si riportano alcuni brani stralciati dalle elaborazioni creative degli studenti dell’Istituto Stringher, composte in seguito ad una conferenza sull’esodo istriano, tenuta a scuola dalla stessa signora Rosalba Meneghini il 3 dicembre 2011, per l’organizzazione del Laboratorio di Storia o per produzioni culturali analoghe.
È assai ricorrente il tema del silenzio dei profughi, ossia la mancata comunicazione ai discendenti sui fatti storici dell’esodo dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia. “Noi istriani abbiamo un grande affetto per il nostro territorio – ha detto una intervistata, con parenti a Dignano d’Istria. Fonte orale: Anna Maria L., Tolmezzo (UD) 1963, int. del 15 dicembre 2010. Sugli istriani gentili e riservati, int. a Varutti Ivana, San Vito di Fagagna (UD), 1946, int. del 6.09.2011. – ma ne parliamo poco, c’è tanta dignità e silenzio, preferiamo il duro lavoro e stare zitti”.
Roberto De Bernardis, esule da Pola ha riferito su un quotidiano di Trento dell’assoluto silenzio mantenuto da sua madre dopo l’esodo, avvenuto nel 1952. “Poi guardò solo avanti – ha scritto – non sarebbe più tornata, non ne avrebbe più parlato: un silenzio durato sino alla sua morte, nel 1999”. Certi esuli rielaborano il dolore in solitudine. Vedi: De Bernardis R., Quel triste addio alle colline dell’Istria, “L’Adige” 18 febbraio 2008.7.1 Bauli e oggetti della soffitta di Maria
In seguito alla conferenza della signora Rosalba Meneghini nella classe 5^ C turistica dell’Istituto Stringher (3 dicembre 2011), si è scoperto che alcuni oggetti dell’esodo istriano erano conservati nella soffitta della sua mamma, la signora Maria Millia, morta nel 2009. Allora abbiamo scritto dei testi, sotto la guida della professoressa Maria Pacelli, di Italiano e Storia, col coordinamento del professor Elio Varutti, di Economia turistica.
Qualcuno di noi è andato a vedere la soffitta e ha fatto qualche fotografia. Ci sono vari bauli e “le cichere”, cioè le tazzine da caffé, comprate a Vienna, per il regalo di matrimonio della mamma della signora Maria, che si chiamava Anna Sciolis, sposa di Domenico Millia, detto Mimi. Loro erano di Rovigno. Il matrimonio è dei primi anni del Novecento. Nel 1914 furono internati dalle autorità militari austriache in un “Barakenlager” della Boemia. Fu il primo esodo della loro vita.
Il secondo esodo fu quello del 1947 da Pola, a causa dei titini. Le “cichere” furono avvolte negli stracci e in vecchi abiti legate con lo spago, per impedire che fossero sequestrate al confine. Restarono in uno dei bauli dell’esodo fino agli anni ’60, quando la famiglia ottenne un alloggio popolare nel quartiere di Sant’Osvaldo, a Udine.
In altri scatti fotografici che abbiamo fatto per documentare quella soffitta così ricca di storia si possono vedere tre bauli, che furono fabbricati in fretta e furia dal nonno della signora Rosalba, con tavole di risulta. Lui era fabbro a Rovigno, ma si arrangiava a costruire un po’ di tutto. Nel periodo dell’esodo a Udine fabbricò una paletta per le granaglie. “La usava sempre mia mamma – ci ha detto la signora Rosalba – per dare il mais alle galline”. È un altro piccolo affettuoso ricordo dell’esodo, per tutta la famiglia. Poi ci sono quattro pagelle scolastiche della signora Maria, dal 1926 al 1930. Ci sono alcuni ricordi della Prima Comunione di Maria Millia e di Elsa Millia. C’è il retro di una specchiera (“el drio del specio”), con una strana scritta a matita: “ItaTonco Udine”. Forse un riferimento per i ferrovieri (“Italia Tronco Udine”).
Allievi della Classe 5^ C - Tecnico dei Servizi Turistici, Isis “B Stringher”, Udine
7.2 Il silenzio di Maria
Maria aveva paura di parlare, come altri profughi istriani. Era venuta via nel 1947, dopo l’attentato di Vergarolla. Fu aiutata dalle suore della Provvidenza di Udine. Se cercava di raccontare qualcosa del suo esilio, le chiudevano la bocca con una parola: “fascista”.
Maria era figlia di Domenico, detto Mimi, un fabbro di Rovigno, poi vissero a Pola. Lei, la sua famiglia e la sua comunità furono felici di essere del tutto italiani dopo la Prima Guerra Mondiale.
Orgogliosa di essere italiana lo fu fino alla fine, quando morì a Udine, nel 2009, senza aver raccontato troppi particolari dell’esodo.
Sua figlia, Rosalba, e i nipoti di Maria oggi vogliono sapere, vogliono conoscere l’esodo istriano dalmata, vogliono scoprire perché lei non parlava.
A cura delle allieve Minutti Serena e Simonetti Giulia, classe 5^ C tur., Isis “B. Stringher” Udine.
7.4 I bauli di Pola
Lacerto drammaturgico
Siamo nel 2011. Alcuni bauli si trovano nella soffitta di una casa degli anni ’50, a Udine, città dove passarono oltre centomila esuli dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia. La casa è della signora Maria, esule da Rovigno. Ad un certo punto, in forma inaudita, due bauli iniziano a parlare tra di loro…
Baule L – Cosa succede? Dove siamo?
Baule P – Non lo so! Non ho idea di come siamo arrivati fin qui.
Baule L – Neanche io. Chissà perché non siamo più nelle nostre case, in Istria, al sicuro… Io ricordo un lontano viaggio in treno. E le soste interminabili nei piazzali ferroviari.
Baule P – Ti ricordi quando ci fabbricavano? Si sentivano delle grida: “Porta altri ciodi!” Oppure: “De corsa, che servi altri ciodi!”
Baule L – Poi le donne piangevano, dicendo: “Oddio, no xe più ciodi, come faremo adeso, poveri noi!” Eh, che ricordi! Sai, oggi, non serviamo più. Magari… vogliono buttarci via!
Baule P – Secondo me, no. Siamo pieni di vestiti, perché dovrebbero buttarci?
Baule L – Magari proprio perché non vogliono più questi vecchi vestiti e noi non serviamo più. Siamo solo un ricordo.
Baule P – Non credo. Con la crisi che c’è dal 2008, non penso proprio, non butterebbero mai via così tanta roba.
Baule L – Fatto sta che non sappiamo né dove siamo, né che cosa succede.
Baule P – Ricordi quando saliva quassù quella signora così gentile con noi, mi pare che dai piani sottostanti la chiamassero Maria, oppure Mamma…
Baule L – Sì, mi ricordo. Qualche volta la chiamavano: Nonna. Qualche volta piangeva e ci accarezzava. Chissà perché? Ti ricordi? Le sue lacrime cadevano su di noi…
Baule P – Sì. Ma io non posso darti le risposte che cerchi. Non saprei. Aspetta, arriva qualcuno, ci stanno portando via! Sono i nostri padroni!
Baule L – Fossi in te, non ne sarei così felice.
Sipario.
Autori allievi: Prisca Guion e Luca Piceno, classe 5^ C turistica, Isis “B. Stringher” Udine
7.5 Poesia: Maria da Rovigno
Maria da Rovigno aveva paura, la parola "fascista" era per lei censura;
aiutata a Udine dalle suore, sempre italiana si sentii nel cuore.
Andò a Pola senza mai raccontare l'esodo, che la figlia desiderava ascoltare;
il mistero del silenzio di Maria resterà sepolto come qualcuno voleva che sia.
Maria da Rovigno aveva paura, che il motivo sia la tortura?
Il mistero del silenzio di Maria resterà tale perché se lo è portato via.
Allievo Luca Piceno, classe 5^ C turistica – Isis “B. Stringher” Udine.
7.6 Abisso Bertarelli
Sempre più giù cadiamo
E proprio a noi e a chi giace
Tocca di non trovar pace
Noi provochiam dolore
Tanto dolor ci strazia
Infranto è il nostro piccolo cuore
Dato che quelli in divisa
Se l’erano già svignata
Non capiamo perché
Ci hanno maltrattati con furore
Come l’acqua che scende dalle crete
Come sasso gettato nell’Ade
Ben protetti siam nel dirupo
Dagli uomini lupo
In questo buco così cupo
Deh, poesia in forma di rosa
Porta un po’ di calma
A chi qui riposa
Womb tomb
Gruppo interclasse 4^A tur e 5^C tur - Isis “B. Stringher” Udine. Coordinamento del prof. Elio Varutti
8. Udine, città dell’accoglienza
Dopo la guerra, nelle vicinanze di via Gorizia, c’era un acquartieramento di truppe inglesi distribuito in una quarantina di prefabbricati metallici (bidonville). Quando gli inglesi lasciarono Udine, nel 1946-1947, quegli spazi, divenuti di proprietà dell’esercito italiano (caserma Spaccamela), dopo regolare richiesta, furono occupati dagli istriani e da altri sfollati. Fu subito chiamato il Villaggio Metallico, o dagli istriani “el Vilagjo de Fero”. È la seconda localizzazione di un sito per profughi a Udine. Oggi ci sono le roulotte degli zingari. Nel 1947 è ricordata un’altra bidonville per i profughi istriani nella frazione di S. Gottardo, in periferia - Fonti orali: Giuliana Sgobino, Ancona (1940), vissuta a Udine, int. del 10 febbraio 2013. Bruno De Faccio, Udine (1933), int. a cura di Elisabetta Marioni e dei suoi allievi del 12 ottobre 2011.Il quarto luogo di accoglienza è senz’altro il già citato Centro di Smistamento Profughi di via Pradamano, che operò dal 1947 al 1960.
La signora Dora Faresi Pizzo racconta: “Son vignuda via nel 1946, noi se doveva finir in foiba, go visto i annegamenti dei cetnici [jugoslavi monarchici anticomunisti] e dei italiani legadi assieme, iera tochi de cadaveri portadi dal mar su la riva”. C’è chi, come riferisce Laura Brussi, ricorda le “fatiscenti strutture del Campo profughi di Via Pradamano nel 1947”. Poi la signora Brussi ha aggiunto: “Ho tantissimi amici che hanno avuto traversie molto tristi nel campo profughi, le ricordano ancora oggi con tristezza ed angoscia, per il dolore dell’esilio e per le umiliazioni sofferte dai propri cari”. Ci sono persone, come Dario Stritof, che essendo stato con la famiglia di Pola in quel Csp cerca di “ricostruire la storia del mio passaggio lì, a Udine”. Un’altra esule in cerca di informazioni mi ha detto: “Nel Campo Profughi di Udine c’era anch’io”; si tratta di Olivia Vesnaver. Ad esempio le sorelle Egle e Odette Tomissich, nate a Fiume, ricordano il Csp di Udine, perché nelle camerate c’erano le brande e la corrente elettrica, che mancavano, invece nel 1948, al Crp del Silos a Trieste, dove i profughi dormivano sul pavimento. Conferme mi giungono anche dagli operatori del Campo Profughi dei Silos, come Luciano Catrozzi: “Nel 1945 ero in Croce Rossa Italiana e vedevo i profughi sistemati alla meglio, poi a Padriciano incominciarono ad arrivare anche vari soldati malandati”. C’è chi, come Franco Grazzina esule da Fiume, dice di “aver dormito per terra nel 1949 al Campo Profughi di Udine, solo con una coperta e dei fogli di giornale – poi aggiunge – per mangiare si faceva una lunga fila con la gamella, poi siamo andati a vivere a Venzone e poi a Gorizia”. Fonte orale: Dora Faresi Pizzo, Lussinpiccolo 1926, int. del 13.02.2007. Altra testimonianza: Laura Brussi Montani, Pola (1943), vive a Trieste e a Latina, corrispondenza e-mail del 12 giugno 2011; l’impressione sul “fatiscente” Csp di Udine è riportata da suoi amici originari di Parenzo, che gestiscono due librerie a Latina. Altra fonte: Dario Stritof, Pola (1950), vive a Cavriglia (AR), messaggio in Facebook del 19 febbraio 2011. Olivia Vesnaver (Portole, Jugoslavia, 1956), messaggio in Facebook del 27.01.2013. Ancora fonti orali: Egle (Fiume, 1931) ed Odette Tomissich (Fiume, 1932), int. del 3 febbraio 2011. Luciano Catrozzi, Pisa 1925, che lavorò a Trieste, int. del 10.02.2012. Infine c’è: Franco Grazzina, Fiume (1943), che vive a Gorizia; telefonata del 19 febbraio 2013. Sul Crp di Padriciano vedi: Padriciano 60. Voci, segni, emozioni da un Centro Raccolta Profughi, Gruppo Giovani, Unione degli Istriani, Trieste, 2007.
Al Csp di Udine passarono tanti istriani, come Lidia Illusigh e parenti vari, esuli da Pola col piroscafo Toscana. Poi c’è la triste vicenda delle sorelle Chialich, di famiglia facoltosa. Maria Chialich, di Dignano d’Istria, fu cacciata via nel 1953. Sua sorella Caterina Chialich vedova Laghigna, è fuoriuscita nel 1957. Loro ebbero sette familiari infoibati. Nel 1943, un’altra loro sorella, Anna Chialich, detta Anica, deceduta nel 2008, in cerca di notizie sul marito sparito e sugli altri scomparsi, fu fermata dai titini in caserma ad Albona e torturata su un tronco tagliato a cuneo. Fu costretta e legata a stare in piedi per un giorno intero su tale legno. Madre di un bimbo di soli due mesi, in seguito al supplizio del “tronco taiado”, perse il latte, non potendo più allattare il piccolo - La int. e la ricerca su Lidia Illusich è riportata nel paragrafo successivo. Sulla tragedia Chialich, fonte orale: Maria Chialich vedova Pustetto, Dignano d’Istria (Pola 1919 – Udine 2010), int. del 27 gennaio 2004. Sulle vicende tragiche di tale famiglia, altre fonti orali: Anna Maria L., Tolmezzo (UD) 1963, int. del 15 dicembre 2010. Savina Fabiani, Ravenna 1933, poi ha vissuto a Gorizia, int. del giorno 8 gennaio 2011. Si è utilizzato pure l’elogio funebre pronunciato da Silvio Cattalini, durante il funerale di Maria Chialich, svoltosi nella Chiesa di S. Giuseppe a Udine, il 7 settembre 2010, dattiloscritto.
Aveva quattordici anni quando lasciò Isola d’Istria la signora Licia Degrassi, che ricorda una sua “amica d’infanzia, tale Dora Valentini e di suo papà che fu infoibato”. Il cugino Damiano Degrassi era al Crp di Opicina, vicino a Trieste. “Durante una manifestazione per l’Italia, nei primi anni Cinquanta – ha concluso la signora Degrassi – un gruppo di slave mi ha preso e picchiato vicino ad un portone, me la son vista proprio brutta, ma mi ha salvato un signore di passaggio”. Certe volte le testimonianze sono sconvolgenti, come nel caso del racconto di Maria Anderloni. “Una mia parente, Anna Giuppani in Anderloni – ha detto – era nata a Zara, sapeva due lingue: tedesco e inglese. Prima della guerra scappò da Zara con la famiglia, perché suo padre girava, per lavoro, presso i mezzadri col fattore. Da un certo giorno non ebbero più notizie di lui, finché non giunse in casa una scatola, dove dentro c’era la testa mozzata del capofamiglia. Ecco perché fuggirono inorriditi” - Fonte orale: Degrassi Licia, Isola d’Istria, 1931, int. del 12.02.2011. Poi ci sono: Anderloni Maria in Da Vico (Udine, 1925- 2011), int. del 24.12.2005 e Giacomo Da Vico (Colloredo di Montalbano, 1923), int. del 13.08.2011.
Del resto, col 1945, le liquidazioni ovvero le uccisioni dei nemici politici o di classe in Jugoslavia vengono deliberate dal partito, mediante la sua struttura dei servizi segreti, come emerge in recenti studi dall’Archivio di Pisino, che contiene molti cartolari riferibili a Pola. I sevizi segreti titini costituirono con i “comunisti migliori” l’Ozna. La Odeljenje za Zaštitu NAroda, (Ozna) è la sigla che significa: Dipartimento per la Sicurezza del Popolo. C’è una seconda versione che così spiega la sigla: Oddelek za zaščito naroda; letteralmente: Dipartimento per la protezione del popolo. Era parte dei servizi segreti militari jugoslavi.
“Nelle sue relazioni politico informative – ha scritto Orietta Moscarda Oblak – l’Ozna comunicava ai comitati di partito circondariali, che a sua volta relazionavano al Comitato regionale del partito, anche sulle “liquidazioni”, ovvero sulle uccisioni che, di volta in volta, venivano compiute dagli agenti dell’Ozna. Nella relazione del 10 febbraio 1945 inviata al Comitato circondariale del PCC [Partito Comunista Croato] di Pola, l’Ozna del circondario di Pola fece rapporto sui “nemici del popolo” che, da dicembre ’44 a febbraio ’45, l’Ozna aveva ucciso, ovvero “liquidato”. In poco più di due mesi, nel circondario di Pola l’Ozna aveva complessivamente arrestato e poi eliminato 12 persone, tra cui 5 donne: 4 nel distretto di Rovigno, 2 nel distretto di Pola, 2 nel distretto di Prodol, 2 nel distretto di Gimino, 2 nel distretto di Albona, tutte ritenute collaborazioniste dei fascisti e dei tedeschi”. Vedi: Moscarda Oblak Orietta, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia. Il ruolo dell’Ozna, “Quaderni”, Centro di Ricerche Storiche, Rovigno, vol. XXIV, 2013, pp. 57-58.
Molte informazioni, notizie e nomi sui crimini di guerra e sul terroredell’Ozna in Dalmazia tra il 1943 e il 1948 sono documentate, dal 2011, da Blanka Matkovic, studiosa dell’Università di Warwick, a Coventry, in Gran Bretagna. Lei ha operato negli archivi jugoslavi, in riferimento a località come ad esempio: Spalato, Zara, Sebenico, Lubiana, Zagabria, Ragusa e Traù. Vedi: Matkovic Blanka, Zločini i terori u Dalmaciji 1943.-1948. Počinjeni od pripadnika NOV, JA, OZN-e i UDB-e, Dokumenti (War crimes and terror in Dalmatia between 1943 and 1948 committed by the members of the People’s Liberation Army of Yugoslavia, the Yugoslav Army, the Yugoslav Agency for Protection of Peoples and the Department of National Security, Documents. Co-authored with Ivan Pazanin, - Published online, March 2011), Zagreb, 2011, pp. 873.8.1 Ricerca su Lidia Illusigh, di Pola
Su rielaborazione a cura del professor Elio Varutti e di Maria Pacelli, professoressa di Storia, si riporta di seguito la ricerca di uno studente, nipote di un’istriana Il suo testo è stato raccolto nell’anno scolastico 2011-2012 ed è stato inviato al concorso, indetto dal Ministero dell’Istruzione Università Ricerca (Miur) sulle vicende del confine orientale e il mondo della scuola, seguito dal Gruppo di Lavoro per la conoscenza della storia degli Esuli Istriani, Fiumani e Dalmati.
L’allievo ha voluto iniziare così: “Mi chiamo Massimiliano Rosso e vivo a Martignacco, in provincia di Udine. Mia nonna era di Pola. Si chiamava Lidia Illlusigh. Nella mia famiglia dicono che non le piaceva raccontare i fatti dell’esodo istriano.Su di lei ho intervistato mio nonno Sergio D’Ecclesiis, nato a Udine nel 1931, che abita a Pasian di Prato (UD). Le decine di fotografie che ho raccolto sono della Collezione Sergio D’Ecclesiis, Pasian di Prato (UD). Ecco l’intervista riferibile al 17 dicembre 2011, scritta su vari fogli e in più occasioni, per verifiche e controlli. Fonte orale riferibile a Lidia Illusigh, esule da Pola (1927-2006): Sergio D’Ecclesiis, Pasian di Prato (UD), int. del 17 dicembre 2011 a cura dello studente dell’Istituto Stringher Massimiliano Rosso, Martignacco (UD).
L’intervista sulle vicende di mia nonna istriana
Domanda: Anno di nascita di nonna Lidia?
Risposta: Era nata il giorno 11.4.1927 a Monfalcone (GO) e quindi a circa 3 o 4 anni ha seguito il trasferimento della famiglia a Pola, per lavoro.
D.: Anno della morte?
R.: Il 29.4.2006 a Pasian di Prato (UD).
D.: Quando è venuta via da Pola?
R.: Nel 1947 con il piroscafo Toscana.
D.: E perché?
R.: Non ha accettato assieme ai suoi familiari di vivere in un paese comunista.
D.: A Udine è passata dal Campo Profughi?
R.: Sì, tra il 1947 e il 1948, ma dopo una breve permanenza, suo padre, che aveva trovato lavoro presso il Consorzio Agrario, si è sistemata in un’abitazione sottotetto in Via Grazzano.
D.: Hai una sua fotografia?
R.: Sì, poi cercherò delle altre fotografie fra decine di diapositive.
D.: C’è, per caso, una lettera, un documento, un suo oggetto da fotografare?
R.: Chiedo ancora un po’ di tempo. Ho per ora solo la sua fede nuziale che porto al collo con una catenina.
D.: Quanti suoi parenti hanno sofferto l’esodo?
R.: Papà, mamma, fratello con moglie, un cugino con tutta la famiglia. Un suo cugino era preside all’Istituto Tecnico Industriale “Arturo Malignani” di Udine [Si tratta del professore Fabio Illusi, preside dal 1995 al 2001].
D.: Ha mai parlato delle foibe?
R.: Vagamente in quanto non conosceva a quel tempo, diciamo verso il 1947, l’orrore che si è consumato sugli italiani prima e dopo l’esodo, che a migliaia senza distinzione di età, sesso e bambini sono stati gettati nelle foibe, in ceti casi ancora vivi o feriti negli antri carsici. Iddio ha voluto che alcuni si siano salvati e sono stati questi a raccontare i misfatti dei comunisti capeggiati dal “macellaio” Tito.
Allievo Massimiliano Rosso, classe 5^ C Turistica, Isis Stringher Udine.
8.2 Famiglie cacciate dalla Slavonia perché italiane nel 1956
Passarono per il Csp di Udine pure un gruppo di esuli tutto particolare, la cui storia finora era sconosciuta. Si tratta di certe famiglie di origine veneta, frutto dell’emigrazione di fine Ottocento ed inizi del Novecento. Dall’area di Romano d’Ezzelino, provincia di Vicenza, i loro avi erano emigrati nell’Impero d’Austria Ungheria per lavorare nelle carbonaie della Slavonia, in Croazia, nei pressi di Osijek, vicino al confine ungherese. Dopo il 1945 i giovani frequentavano le scuole jugoslave, parlavano croato e recavano persino nomi propri croati. Le famiglie erano integrate. Solo in casa c’era chi parlava l’antico dialetto veneto imparato dai nonni. Da questa interessante intervista si comprende come il sistema della pulizia etnica, ormai, imperversasse nella Jugoslavia del 1950-1960. Chi avesse avuto una parvenza di italiano doveva essere cacciato. “Mia mamma era Maria Bosniak, oggi vivo in provincia di Varese – ha detto Slavica Delbianco, nata a Zielona Gòra (Jugoslavia) 1948, int. telefonica del 30.10.2013 – siamo dovuti venir via, dopo varie pressioni, nel 1956. Siamo arrivati al confine di Fernetti, vicino a Trieste, in treno e i soldati slavi ci dissero che i dinari jugoslavi era meglio cambiarli, però quando il treno è ripartito loro si sono tenuti tutti i nostri soldi. Prima della partenza le autorità jugoslave ci diedero una lista dei beni che potevamo portare in Italia, erano poche cose. Abbiamo dovuto vendere tante cose. Siamo passati dal Campo Profughi di Udine, poi ci hanno trasferiti a Gaeta, lì il Campo Profughi era in una vecchia caserma rovinata. Poi siamo andati al Campo Profughi di Aversa, in certi prefabbricati; erano delle belle casette. Poi di nuovo al Crp di Gaeta, dove, nel 1959, mi è nata una sorellina. Mio nonno Delbianco faceva il carbonaio e proveniva dalla zona di Romano d’Ezzelino. Siamo usciti dal Crp nel 1961. I miei genitori hanno dovuto aspettare tre anni per avere i documenti per espatriare. Prima di partire abbiamo dovuto vedere un pezzo di terra e, persino, il corredo con merletti. Al confine italiano mio fratello Ivan è stato italianizzato in Giovanni e così via…”.
Come mai chi ha un vago riferimento alla italianità viene cacciato via? Era dal 1944 che gli uomini della struttura dei servizi segreti jugoslavi di Tito – la Ozna – teorizzavano la pulizia etnica, nonché l’eliminazione dei nemici politici anticomunisti. Riguardo a quel periodo jugoslavo Orietta Moscarda Oblak (La presa del potere in Istria e in Jugoslavia… cit, pp. 29-61) studiando all’Archivio di Pisino, che contiene molti cartolari su Pola, ha scritto che “man mano che i territori vennero liberati, alla fine del 1944 e nel 1945, nel momento della presa del potere fu l’Ozna che ebbe il compito di mettere in atto una spietata resa dei conti con gli occupanti (tedeschi, italiani), i četnici, gli ustaša, i belogardisti, i domobrani, ma anche contro tutti i potenziali o presunti collaborazionisti e nemici di classe; vennero eliminati sistematicamente non solo i nemici di ieri, ma anche quanti – nel presente e nel futuro – avrebbero potuto mettere in discussione gli obiettivi politici dei comunisti jugoslavi, che nel territorio della Venezia Giulia equivaleva alla sua annessione e contemporaneamente alla creazione di un nuovo ordine politico, il potere popolare”. I četnici erano reparti militari serbi di sentimenti monarchici e anticomunisti. Gli ustaša erano miliziani croati nazionalisti di estrema destra. I belogardisti erano sloveni bianchi, che si anteponevano ai rossi comunisti di Tito; erano collaborazionisti del fascismo italiano. I domobranci erano volontari sloveni, addestrati dalle SS tedesche dopo il 1943.
9. Dopo il Giorno del Ricordo, c’è voglia di capire
Con l’istituzione del Giorno del Ricordo, Legge n. 92 del 30 marzo 2004, è cambiato qualcosa nel mondo degli esuli. Tale approvazione nelle scuole italiane, come ricorda Chiara Vigini (Vigini C., La didattica del confine orientale al confine orientale, “Annali della Pubblica Istruzione”, 133, 2010, pp. 151-154), “ha dato il via a un fermento di attività per conoscere le vicende che ne sono all’origine, con lezioni, conferenze, raccolta di testimonianze – nella provincia di Trieste non è bastata ad influire significativamente sulla loro divulgazione, e nella città giuliana e nel suo circondario, la didattica del confine orientale continua ad essere segnata più che in qualsiasi altro luogo da un’eredità pesante che ne costituisce la premessa e l’ineludibile condizione”.
Come ha affermato la signora Rosalba Meneghini Capoluongo, figlia di Maria Millia, esule di Rovigno, c’è la voglia di capire, rispetto a chi opponeva un riservato silenzio. “No se ga de contar robe brutte ai pici” – così mi ha detto più di una intervistata dell’Istria, di Fiume o di Zara (Fra le tante fonti: Dudech Elvira (Zara 1930-Udine 2008), int. del 28.01.2004 e del 15.12.2007), ma poi è cambiato il clima generale e gli esuli raccontano le loro esperienze anche in pubblico.
Succede, forse per superare un certo senso di colpa, che pure le anziane donne croate, parlino con circospezione con qualche esule italiano cacciato negli anni ’50 e che ritorna in Istria a cercare notizie del proprio parente scomparso. Mi riferisco al caso di Francesco Tromba, da Rovigno. “Il 16 settembre 1943 mio padre Giuseppe Tromba, del 1899, fu prelevato a Rovigno dai partigiani titini – ha detto Francesco Tromba – due di guardia stavano in strada e altri cinque sono entrati in casa… e solo nel 2007 ho saputo da donne del posto dove era la foiba di Vines, perché lì fu buttato; uno dei partigiani responsabili era il tale Abbà, oggi io sono esule a Bibione, in provincia di Venezia”.
Esisteva per così dire una pseudo macabra cultura della foiba, nel senso che i partigiani titini scherzavano tra loro sul tema della morte nella cavità carsica. È quanto è emerso dalla seguente testimonianza da Pola: “Nel 1943 mio padre aderì al movimento partigiano – ha detto Vittorio Re – dato che i titini gli avevano dato una lettera per presentarsi all’interno dell’Istria, poi scoprì che avrebbe dovuto essere utilizzato in prima linea, rischiando di essere ucciso”. Era, forse, una forma di pulizia etnica, per così dire di tipo preventivo? “Credo di sì – ha aggiunto il signor Re (Tromba Francesco, Rovigno 1934, int. del 25.10.2013 a Bibione (VE). Vedi inoltre: Tromba F., Pola Cara, Istria terra nostra. Storia di uno di noi Esuli istriani (prima edizione: Gorizia, Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia, 2000), Trieste, Libero Comune di Pola in Esilio, 2013. Per la testimonianza sulla macabra pseudo cultura della foiba, la fonte è: Re Vittorio, Pola 1946, int. a Palmanova (UD) il 23.06.2011) - poi lui si scherniva con gli stessi commilitoni croati, con i quali restò comunque in contatto”. In che senso? “I titini, facendo in modo che lui sentisse, si dicevano che fosse stato mandato in prima linea contro i tedeschi: Cussì no ocore che lo femo fora noi! Alla fine siamo venuti via nel 1949. Siamo passati per Udine, per finire al Campo Profughi di Catania per circa cinque mesi”.
Notizie interessanti giungono dal signor Siro Gattesco, che visse a Pola dal 1938 al 1946, giorno della fuga col Toscana. “Mio papà Alfonso aveva un caffè a Pola, in Largo Oberdan, rilevato da Gasparini nel 1938 – ha detto – c’erano gli inglesi e mio papà fu preso dai titini e portato in campagna in una casupola con altre quindici persone, tutti italiani. Lui conosceva una guardia titina e gli promise dei soldi per farlo scappare, così si salvò. Del resto del gruppo che era con lui non si è saputo più nulla, perché saranno finiti in una foiba. Nel 1946 i camion degli inglesi con la truppa andavano a tirar fuori le salme dalle foibe e partivano da Largo Oberdan, dove c’era il bar della mia famiglia”.
Talvolta gli intervistati vanno oltre, riferendo di manifestazioni di italianità nell’Istria del 1947. Il signor Roberto Stanzione, da Pola (Siro Bruno Gattesco, Mortegliano 1930, vissuto a Pola nel periodo 1938-1946, int. del 12.02.2011. Altra fonte: Stanzione Roberto, Pola, messaggio nel blog di wikio del 30.05.2009) si è proclamato “orgoglioso di essere italiano e di aver partecipato con la squadra Itala Pestel di Pola all’attività anticomunista nel 1947”. Con atteggiamento equanime ha aggiunto: “Ne abbiamo date e ne abbiamo prese, ma non ci siamo imboscati quando bisognava tenere alto l’orgoglio nazionale (…). Noi della società Itala Pestel abbiamo rischiato e siamo stati inseriti nelle famose liste di eliminazione dell’Uais del tempo. Sono stato allontanato da Pola il 27 gennaio 1947, perché incluso in una lista di eliminazione e consegnato dalla allora Civil Police alla Polizia ferroviaria italiana al Ponte di Pieris [in provincia di Gorizia]”. Poi passò al Campo Profughi di Roma, lavorò all’estero e, mi sembra di ricordare vive a Lecco.
Ancora italiani furono eliminati nelle foibe o con altri sistemi dopo la fine del conflitto. E’ il caso del dottor Giovanni Gorlato (nato nel 1900), notaio di Dignano d’Istria, prelevato di forza da un gruppo di quattro partigiani titini da casa sua la sera del 3 maggio 1945, così come successo con altre persone in vista del paese, tutti italiani (Fonti sul caso del notaio Gorlato: Gorlato Giorgio, Dignano d’Istria 1939, int. del 01.06.2013. Daria Gorlato, Dignano d’Istria 1943, int. del 15.12.2013. Altra fonte: Mario Canciani, San Canzian d’Isonzo (GO) 1954, int. del 10.02.2013).
Venne fatto salire su un camion e portato al castello di Pisino. “Mia zia, l’unica presente al momento in casa, intervenne per difendere il fratello e chiedere spiegazioni ai partigiani titini – ha detto il figlio Giorgio Gorlato – ma per tutta risposta, da parte di uno di costoro, fu colpita al capo col calcio del fucile e rimase tramortita sul marciapiedi davanti a casa. Mia madre, con grande coraggio si recò successivamente al comando dell’Ozna (la polizia politica di Tito) di Fiume per sapere qualcosa di suo marito. Fu trattata in malo modo e non ottenne alcuna informazione. Da allora non si seppe più nulla di mio padre”. Dalla testimonianza della sorella del signor Gorlato emerge ancora il tema del silenzio degli esuli. “Dato il dolore che portavo e porto sempre nel cuore, per me l’Istria è stata nel limbo fino al 2009 quando con altri dignanesi esuli in Friuli, sono riuscita finalmente ad affrontare un viaggio nel mio paese natio per riconciliarmi – ha detto Daria Gorlato –. Questo perché mio padre Giovanni, che era notaio a Dignano, fu portato via, senza alcuna spiegazione, dai partigiani titini e nulla fu detto alla mia famiglia. Mia madre, rimasta sola con due bambini piccoli, ha per lungo tempo sperato che tornasse, ma evidentemente mio padre fu fatto scomparire non si sa come e dove, alla stregua di tanti altri poveri italiani innocenti”.
Qualche discendente di esuli è nato nel Campo Profughi. È accaduto così a Mario Canciani, nato e cresciuto a San Canzian d’Isonzo (GO), nel locale Campo Profughi. “Prima era tutto di baracche – racconta – poi dal 1958 erano casette, saremo stati un centinaio di famiglie, infine la mia famiglia andò ad abitare a Roiano, quartiere di Trieste. Noi venivamo da Dignano d’Istria, mio nonno faceva Belci di cognome”.
10. Indagini e azioni didattiche sull’esodo istriano all’Istituto Stringher di Udine
Nell’ambito del Laboratorio di Storia, dall’anno scolastico 2008-2009 fino al 31.12.2013 sono stati raccolti 79 questionari per una ricerca sul tema “Guerra e dopoguerra 1940-1950”, sotto la guida del professor Giancarlo Martina, in collaborazione con l’Asud, con gli studenti delle classi quinte del corso Turistico. Il rilevamento era indirizzato ad ottenere informazioni soprattutto sui bombardamenti subiti dalla popolazione civile, ma una parte riguardava la presenza di sfollati e di profughi nei luoghi di residenza degli intervistati. I dati raccolti sono stati utilizzati per un breve documentario titolato “Bombardate Udine”. I questionari raccolgono dati da tutto il Friuli, anche da fuori regione. Un terzo dei testimoni non ricorda la presenza dei profughi nei loro paesi, il resto invece la segnala.
Sono state selezionate due testimonianze sui profughi dell’Istria e Dalmazia, come Romolo Noli (19.02.1935) di San Giorgio di Nogaro (UD). Nel “Villaggio Giuliano” erano ospitati circa 100 profughi “dai territori – ha detto – che sono stati ceduti a Tito alla fine della guerra” (15/02/2010). Poi c’è Fabiola Turco (14.12.1935) di Talmassons (UD); lei ha ricordato pochi profughi che venivano “dalle zone di confine Slovenia e Croazia” (21.01.2010).
Sulla vicenda del Csp di Udine, sull’esodo e le foibe lo scrivente dal 2008 svolge ogni anno, nel Giorno del Ricordo, un’attività di comunicazione e informazione alle classi quinte, assieme ai propri allievi dell’Istituto “Bonaldo Stringher” di Udine, in altre scuole e nel territorio, in collaborazione con l’Anvgd. In tali attività sono state coinvolte finora oltre 3000 persone, soprattutto studenti, con più di 30 presentazioni al pubblico regionale delle vicende del Csp. La storia del Csp di Udine da parte dello scrivente è stata oggetto di una lezione a due classi del Liceo “Caterina Percoto” di Udine il 13 febbraio 2012 dei rispettivi insegnanti e del dirigente scolastico, dottoressa Gabriella Zanocco; nell’anno successivo un gruppo di docenti dello stesso istituto avendo effettuato una ricerca a scuola con questionari, la presentò alla città ed alla emittente televisiva Telefriuli.
Sui luoghi dell’esodo istriano dalmata a Udine lo scrivente assieme ai propri allievi dell’Isis Stringher, per incentivare il turismo della memoria, nell’anno scolastico 2011-2012 ha iniziato ad allestire un Itinerario giuliano a Udine. Esodo istriano, un brano sconosciuto di storia locale. Il DVD con tale percorso è stato illustrato il 9 febbraio 2013 alle classi quinte della scuola, con la partecipazione di Furio Honsell, sindaco di Udine, di Anna Maria Zilli, Dirigente scolastico dello Stringher e dell’ingegner Silvio Cattalini, presidente del Comitato Provinciale di Udine dell’Anvgd. Il giorno dopo l’Itinerario giuliano è stato presentato alla cittadinanza udinese e friulana all’Auditorium Zanon, nella manifestazione ufficiale del Giorno del Ricordo. Lo stesso elaborato è stato illustrato nel Comune di Povoletto (UD) e a Trieste in un corso di aggiornamento per insegnanti dell’Ufficio Scolastico Regionale. All’Isis “B Stringher” dal 2011 viene organizzata ogni anno pure una Mostra documentaria sul Giorno del Ricordo, sui testi di Guido Rumici per l’Anvgd (Vedi: V.Z., Nasce in città il percorso giuliano della memoria, “Messaggero Veneto”, 11 febbraio 2013. Vedi: Itinerario giuliano a Udine, allestito dall’Istituto Stringher).
11. Una ricerca scolastica particolare
Nell’anno scolastico 2013-2014 una decina di allievi della classe 5 ^ D Tecnico dei Servizi di Ristorazione, con Elio Varutti, insegnante di Economia e gestione delle aziende ristorative, Cinzia Lodolo, insegnante di sostegno e Carla Maffeo, docente di Italiano e Storia hanno sviluppato una ricerca particolare su Enea Urbino, un milite istriano infoibato nel 1945 e prozio di Sara Cumin, una studentessa della medesima classe. Si è voluto partire così da una fatto storico del territorio, coinvolgendo in prima persona una studentessa, col consenso della sua famiglia, per giungere ai fatti della grande storia, in questo caso la seconda guerra mondiale e gli accadimenti del confine orientale italiano, utilizzando gli elementi dell’immaginazione e della fantasia, oltre ai documenti, ai libri e alle interviste alle fonti orali.
Si è costruito, così, un dialogo immaginario, quasi come in uno psicodramma. Il progetto si è aperto con delle domande effettuate da alcuni allievi della classe, suddivisa in gruppi spontanei. Un altro gruppo, cui faceva parte Sara Cumin, pronipote dell’infoibato, ha immaginato di dare delle risposte, immedesimandosi nel milite stesso e con l’aiuto e col consenso dei familiari discendenti del caduto, esuli a Mariano del Friuli (GO). Altri allievi hanno preferito partecipare passivamente all’attività in classe, con l’ascolto e la lettura dei testi, oppure contribuendo alla revisione dei materiali della ricerca, utilizzando la letteratura dell’esodo istriano dalmata.
11.1 Enea Urbino
Risulta “disperso” il 29 gennaio 1945. Enea Urbino, milite italiano, è nato a Visinada (provincia di Pola, Istria) il 7 agosto 1927. Era figlio di Francesco Urbino e di Antonia “Nina” Roppa; è menzionato nell'Albo dei Caduti della RSI. La gente del paese disse che fu “gettato in foiba” dai titini, come ricordano i familiari. Chissà quando l'hanno ammazzato?
Con tutta probabilità Enea Urbino fu fatto scomparire nella foiba di Treghelizza o Troghelizza a Castellier di San Domenico di Visinada (Kastelir), ma è solo un'ipotesi di fonte paesana. Tale foiba è menzionata nell’Albo d’oro di Luigi Papo, col numero degli infoibati, determinato sommando salme esumate, vittime accertate e presunte (Menzionato nel libro: Tromba F., Pola Cara, Istria terra nostra…, cit., pag. 81). Secondo altri autori in tale foiba, profonda m. 111, furono recuperate e identificate il 16 novembre 1943 solo due salme dei molti civili infoibati (G. G. Corbanese – A. Mansutti, Ancora sulle foibe. Gli scomparsi in Venezia Giulia, in Istria e in Dalmazia 1943-1945, Udine, Aviani & Aviani, 2010, pag. 24) nel periodo settembre-ottobre 1943.
11.2 L’ultima intervista sull’esodo istriano
A questo proposito si riporta uno stralcio dell’intervista raccolta dall’allieva Sara Cumin ai familiari, nell’anno scolastico 2012-2013, a cura del professor Elio Varutti, col titolo Intervista sull’Esodo dall’Istria. È l’ultima produzione culturale raccolta a scuola.
Domanda: Quando i familiari sono scappati dall’Istria? Risposta: I miei familiari sono scappati da Visinada d’Istria alla fine della seconda guerra mondiale. L’Italia aveva perso la guerra. Il territorio dell’Istria era passato alla Jugoslavia. Trieste nel 1954 è tornata italiana. Gli italiani d’Istria furono costretti a lasciare le loro case e tutti i loro beni laggiù per evitare di essere uccisi o gettati nelle foibe.
D.: Chi erano e dove arrivarono? R.: I miei nonni materni (Francesco Urbino e Antonia Nina Roppa) e la mia mamma (Bruna Urbino) scapparono a Trieste. Mio zio Enea Urbino, fratello di mia mamma era scomparso. I compaesani dicevano che era stato “gettato in foiba”.
D. Dove vennero accolti? Passarono per i Campi Profughi? R.: Prima passarono per il Silos di Trieste [che era uno dei 18 Campi Profughi del capoluogo giuliano], quello vicino alla stazione, dove vennero registrati come esuli. In seguito furono ospitati da una famiglia di amici, mentre la sorella di mia mamma, con la famiglia e i figli, venne mandata nel Campo Profughi di Latina, vicino a Roma.
D.: In famiglia parlate di quei fatti storici? R.: Sì, mia mamma mi raccontava di quel periodo, della guerra, di quanto fosse duro sopravvivere, ma anche della sua vita di paese, del lavoro nei campi, del nonno che suonava le campane e improvvisamente hanno dovuto lasciare tutto perché erano italiani e stranieri nella loro terra e poi stranieri in Italia. Curiosità: Visinada, oggi in Croazia, si trova a 60 km da Trieste e 60 km da Pola.
Nome e cognome dell’intervistata: Patrizia Dal Dosso. Anno e città di nascita: 1959, Firenze. Data dell’intervista: 16 febbraio 2013. Intervistatrice: Sara Cumin, allieva. Mariano del Friuli (GO). Classe 4^ D Ristorazione, Isis “B. Stringher” Udine. Elaborazioni a cura del professor E. Varutti. Dirigente scolastico: Anna Maria Zilli.
12. Conclusione
Il 4 dicembre 2013 il sito web dell’Istituto Stringher si è arricchito di un progetto innovativo per l’apprendimento di competenze storiche del territorio, in occasione del centenario dell'inizio della Prima Guerra Mondiale, 1914-2014. Votato, in precedenza, dal collegio dei docenti e rientrante nel Piano dell’Offerta Formativa dell’Istituto, il piano di lavoro è intitolato “Il Novecento in Friuli Venezia Giulia” e gode del contributo della Fondazione Crup. Posto sotto l'egida del Club Unesco di Udine “Il Novecento in Friuli Venezia Giulia” ha ottenuto il patrocinio del Comitato Provinciale di Udine dell'Anvgd, del Centro Interdipartimentale di Ricerca sulla cultura e la lingua del Friuli (Cirf) dell'Università di Udine, della Società Filologia Friulana e i Turismo FVG. Il Laboratorio di Storia dello Stringher è partner dell’Imperial War Museum di Londra. Altri importanti patrocini sono giunti dal Comune di Udine, dai Civici Musei di Storia ed arte di Udine, dal Museo della Battaglia di Vittorio Veneto (TV), dal Museo di Caporetto (Slovenia) e dal Museo della Grande guerra di Kötschach-Mauthen (Austria). Il progetto si divide in due cicli di conferenze, convegni, esposizioni e attività di Networking, riferiti ai principali avvenimenti del secolo scorso. Si è dedicato spazio sia all’irredentismo, sia al 70° anniversario dell’inizio dei 54 bombardamenti su Zara, sia al Giorno del Ricordo, con l’inaugurazione della Mostra documentaria sull’esodo dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia, oltre alla collaborazione con i musei e le altre agenzie culturali del territorio.